15 novembre 2023

Un altro telefonino è possibile(forse): l’intervista a Juan Carlos De Martin

Un altro telefonino è possibile (forse): l’intervista a Juan Carlos De Martin a cura di Michele Gravino su Il Venerdì di Repubblica.

Professore, all’inizio del libro lei descrive una scena a cui più o meno tutti noi abbiamo assistito, e magari ne siamo stati anche protagonisti: isola greca, spiaggia meravigliosa, mare cristallino, clima perfetto, bar sotto i pini. E, seduta a un tavolo, un’intera famiglia di 11 persone: nessuno parla, tutti, dal più anziano al più piccolo, guardano lo schermo del telefono.
Volevo spiegare con un’immagine l’incredibile potere che lo smartphone ha su di noi. Abbiamo in tasca uno strumento che promette di farci superare qualsiasi momento di noia e di insoddisfazione. È progettato per chiamarci costantemente: prendimi, guardami, resta incollato allo schermo! È senza dubbio l’oggetto più seducente mai inventato.

Eppure l’era del personal computer e del Web era cominciata con una grande promessa di libertà…
Sono fasi storiche. I primissimi computer erano lo strumento del potere: grandi, costosi, ospitati in strutture governative, manovrati da sacerdoti in camice bianco. L’avvento del pc è figlio della rivoluzione libertaria anni 70: non ho bisogno di intermediari, il computer posso usarlo da solo in casa mia, e anche smontarlo, rimontarlo, installarci i programmi che voglio. Con lo smartphone, nato nell’epoca del neoliberismo, siamo entrati in una fase ibrida: penso di avere un dominio assoluto sull’oggetto, in realtà la mia sovranità è limitata.

Da chi?
Beh, prima di tutto dalle due aziende che hanno il duopolio pressoché assoluto dei sistemi operativi: Google e Apple, che l’altro hanno sede a soli undici chilometri di distanza l’una dall’altra. Modificare o cambiare il software che fa funzionare lo smartphone è un’impresa praticamente impossibile anche per l’informatico più esperto. E a che pro farlo, poi, se le stesse aziende controllano anche il mercato delle app? Si rischia di rendere inservibile il telefono.

Poi c’è la complicatissima questione dell’hardware…
Lo smartphone è un prodotto molto complesso, basti pensare che, sugli 83 non radioattivi presenti nella tavola periodica, ne contiene almeno 70. Bisogna naturalmente raccoglierli, lavorarli, assemblarli: è una filiera lunghissima, l’esempio più evidente della globalizzazione che governa l’economia internazionale. Ma prima la crisi del Covid, poi la guerra in Ucraina hanno mostrato che la catena può sempre spezzarsi. Ora i governi occidentali dicono di volersi rendere tecnologicamente indipendenti, specie dalla Cina: ma è un processo lunghissimo, ci vorranno decenni.

Nel libro lei insiste su un pericolo: siccome lo smartphone è comodo e “ce l’hanno tutti”, la tentazione è di usarlo per qualunque cosa, dai menu dei ristoranti ai documenti pubblici, dagli acquisti alla telemedicina. Con il risultato di diventarne sempre più schiavi.
È una questione di democrazia: uno strumento tecnologico, anche se fosse più trasparente e fedele di com’è adesso, non può diventare un’estensione obbligatoria del corpo umano. Devo sempre avere il diritto di non possederlo, o di non dover correre subito a ricomprarlo quando si rompe. Era comodo ed economico comprare tutto in Cina, ma poi ci siamo accorti che non producevamo più le mascherine… La rete cellulare è un’infrastruttura fisica che può avere problemi, bisogna sempre tenere in piedi un’alternativa.

Un capito si Intitola Un altro smartphone è possibile. In che senso?
Esiste già qualche modello più equo, come il Fairphone ideato in Olanda: tutti gli elementi sono sostituibili e progettati per durare più a lungo, i materiali vengono da Paesi dove non sono in corso conflitti, il sistema operativo è open source… Ma al di là di questi esperimenti di nicchia, basterebbe anche apportare qualche piccola modifica che non danneggerebbe più di tant né gli utenti né i “padroni”. Ad esempio liberalizzare il mercato delle app, come pare finalmente accadrà con il prossimo Digital Act europeo. O rendere più semplice disattivare le connessioni, spegnere il microfono che ascolta le nostre conversazioni per poi spedirci pubblicità personalizzate…

Ma succede davvero? Per anni ho sentito dire che era soltanto una paranoia…
E invece è possibile. Soltanto nelle ultime versioni dei sistemi operativi quella oscura funzione che permette al telefono di ascoltarti è stata resa disattivabile: merito delle pressioni della politica e dell’opinione pubblica. Da ingegnere mi interessa molto dare questo messaggio: la tecnologia non è un fatto naturale, è un prodotto umano. La tv, l’auto, lo smartphone esistono e non si possono disinventare. Ma se sono fatti in un certo modo non vuol dire che non possano essere cambiati, resi più socialmente accettabili, meno nocivi.

Però lei lo smartphone lo utilizza? E che cosa fa per sentirsi meno schiavo?
Naturalmente lo uso, come tutti, e certo non potrei farne a meno, nel lavoro come nella vita privata. Però ecco, una cosa che ho imparato presto è che le notifiche sono il male. Mi stavano facendo impazzire, le ho disattivate tutte. Per fortuna mi pare di non essere il solo.

Qui l’intervista completa:
https://docs.google.com/viewerng/viewer?url=https://usercontent.one/wp/www.addeditore.it/wp-content/uploads/2023/06/De-Martin-Il-Venerdi-di-Repubblica-22-09-2023.pdf?media=1732888602

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