L’intervista a Danilo Zagaria a cura di Laura Pezzino su Natural Style.

Ne Il groviglio verde, che ha anche un sottotitolo bellissimo – Abitare le foreste dal Mesozoico alla fantascienza -, Zagaria ci porta in luoghi lontanissimi nello spazio e nel tempo, «tutti posti che ha guardato da lontano col “cannocchiale”, sfruttando le biblioteche e gli archivi online».

Mi parla dal suo appartamento torinese dove, sullo sfondo, scorgo una piantina di potos. Gli chiedo come sta il suo pollice verde: «Me la cavo, anche se quella davvero brava era mia nonna: sono praticamente cresciuto nel suo terrazzogiungla e, per questa estate, mi sono dato il compito di trasformare anche il mio». Partito, quindi, dall’idea di raccontare “solo” gli alberi, Zagaria ha costruito un libro che invita a guardare il mondo da prospettive diverse: «Raccontare le foreste significa raccontare tantissime altre cose: la biodiversità, il clima, l’idrografia, le città – che sembrano lontanissime dalle foreste, ma che in realtà ne sono fortemente dipendenti –, e poi, anche, le persone che, a milioni, vivono ancora oggi in posti come l’Amazzonia. Da qui è nata l’idea di groviglio».

È vero che non è l’Amazzonia la foresta più grande del mondo?
È proprio così. La più grande è la foresta boreale che unisce l’Eurasia, dalla Scandinavia fino all’estremo oriente russo, attraverso ben dieci fusi orari. Se si prendesse un aereo e si guardasse giù, per tutto il tempo si vedrebbe solo un’unica grande macchia verde continua. Spesso si dice che i “polmoni” del nostro pianeta si trovano in Amazzonia: in realtà, un ruolo ancora più fondamentale è svolto proprio dalle foreste boreali temperate.

Lei scrive che le foreste si «muovono». In che senso?
Anche se l’immobilità degli alberi è uno dei cardini del nostro immaginario riferito al mondo vegetale, in realtà si muovono. Si tratta di un aspetto estremamente interessante, oggi studiato dagli scienziati soprattutto per quanto riguarda l’emisfero settentrionale, dove si registra una regolare avanzata della foresta verso l’Artico. Il motivo? L’aumento delle temperature, che al Nord è ancora più accentuato per un fenomeno chiamato amplificazione artica, che fa sì che la cosiddetta tree line, che divide la foresta dalla tundra – una pianura con arbusti e suolo permanentemente gelato, il permafrost -, avanzi di una decina di chilometri ogni dieci anni. Generazione dopo generazione, gli alberi colonizzano ambienti sempre più a nord.

Perché il permafrost è così importante?
Lo è moltissimo, soprattutto per quanto riguarda il clima terrestre, perché sotto quello strato di ghiaccio da milioni di anni è stoccata una gigantesca quantità di anidride carbonica e metano. È un ecosistema in qualche modo congelato e fermo nel tempo che, a causa del riscaldamento, potrebbe risalire in superficie e venire liberato nell’aria. Sarebbe una botta fortissima per il clima e l’ambiente.

Nel libro si sofferma molto sull’era Mesozoica, compresa tra i 250 e i 65 milioni di anni fa. Per quale motivo?
È stato allora che è avvenuta la cosiddetta “terraformazione”, il processo che ha portato alla formazione della Terra per come la conosciamo ora. Ed è stato proprio in quel periodo, durato milioni di anni, che sul pianeta sono comparse le piante, i funghi e tutti quei microrganismi che hanno contribuito a trasformare il suolo, che allora era formato prevalentemente da rocce, in terreno fertile. Di terraformazione si parla, solitamente, riferendosi al pianeta Marte, ma in realtà è un fenomeno avvenuto prima di tutto qui, sulla Terra.

Come mai i funghi sono fondamentali per la vita terrestre?
Ormai sappiamo per certo che gli alberi comunicano tra loro attraverso i funghi e, nello specifico, attraverso le micorrize (associazione tra funghi e radici delle piante) nascoste nel sottosuolo, che funzionano come una sorta di rete di connessione, il cosiddetto wood wide web , un’espressione che è stata coniata negli anni Novanta per risonanza con il world wide web che conosciamo. Questa collaborazione tra alberi e funghi va a disturbare, in parte, il discorso sulla competizione tra specie alla base della teoria che Darwin illustrò nel suo libro cardine, L’origine della specie, risalente alla seconda metà dell’Ottocento.

Nel suo libro scrive che, per mitigare gli effetti del climate change, bisognerebbe piantare almeno un miliardo di alberi, ma che è fondamentale che la riforestazione avvenga in maniera ponderata. Che cosa significa?
In Europa è molto difficile trovare boschi naturali, perché quasi sempre quelli esistenti sono nati dall’interazione con l’essere umano. Questo, a volte, crea grossi problemi perché i boschi monospecifici, ossia composti da un’unica specie di piante, sono in realtà meno capaci di fronteggiare le crisi. Prendiamo come esempio l’Italia nordorientale, dove per secoli gli umani hanno ossessivamente piantato quasi esclusivamente abeti rossi, detti anche pecci, i classici alberi di Natale usati anche per ricostruire il paesaggio distrutto dalla guerra. Gli abeti rossi non hanno radici profonde e all’arrivo di Vaia, la tempesta che nel 2018 abbatté oltre sedici milioni di alberi, non seppero resistere alle raf fi che del vento che, ricordiamolo, è il principale nemico delle foreste, ancora più del fuoco. Quindi, è importante riforestare, ma soprattutto farlo in maniera consapevole. E prima di pensare a piantare nuovi alberi, dobbiamo pensare a tutelare quelli che esistono già.

Qui potete trovare l’intervista completa su Natural Style.

Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/danilo-zagaria-il-groviglio-verde/