21 luglio 2016

Inge Sargent e il tramonto birmano

– di Bertil Linter – prefazione all’edizione americana di Il tramonto birmano. La mia vita da principessa shan di Inge Sargent (testo rivisto in occasione della pubblicazione del libro in Italia). Illustrazione di Elisa Talentino. Traduzione di Maria De Caro e Federica Bosi.


In un assolato pomeriggio estivo del giugno 1966, un maggiolino Volkswagen si dirigeva allo Schloss Laudon, un castello barocco gestito privatamente come albergo di lusso nel quindicesimo distretto, o Bezirk, di Vienna. Il portone di ferro d’accesso alla residenza era tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia austriaca, che lasciò passare il veicolo, recante i documenti identificativi diplomatici ufficiali dell’ambasciata thailandese a Vienna.
Il maggiolino si fece strada scoppiettando lungo il vialetto di ghiaia, attraverso il giardino ben curato che attorniava il castello, e si arrestò appena fuori dall’edificio. Una giovane donna europea – i capelli raccolti in uno chignon, secondo la moda del Sudest asiatico – scese dall’automobile e salì i gradini di marmo all’entrata principale del castello. Due bambine euroasiatiche, di sette e dieci anni, la presero forte per mano. Entrarono a passo deciso nel salone d’ingresso a pianta circolare, arredato come un atrio elegante con mobili rococò e scuri pannelli lignei.

Gli ospiti dell’albergo, tutti di provenienza asiatica, fissarono le intruse con occhi sbarrati dallo stupore. Tenendo ancora le figlie per mano, la donna squadrò tutti quanti velocemente, individuò il suo obiettivo e raggiunse una donna della comitiva, cui si rivolse parlando fluentemente in lingua birmana: «Voglio vedere il generale.»
La signora birmana lanciò un’occhiata alla rampa di scale che portava a un balcone al primo piano. L’europea seguì con gli occhi quello sguardo, e vide un alto uomo asiatico sul balcone girare frettolosamente dietro alla balaustra e scomparire in una delle porte, chiudendola dietro di sé con decisione.
«Prego, si sieda. Gradisce una tazza di tè?» propose la signora birmana con fare irrequieto.
«No, grazie. Sono venuta per discutere questioni personali con il generale», rispose a testa alta l’altra signora, mentre le due bambine, intimidite, si aggrappavano alle sue mani.
«Ehm, sta riposando. Sa, non sta tanto bene», replicò esitante la signora birmana.
«Non sta bene? A me sembrava in perfetta forma quando è salito di corsa in camera», la rimbeccò l’europea.
L’uomo alto che si era dileguato nella stanza al primo piano era in effetti il generale Ne Win, l’allora dittatore militare della Birmania, che aveva preso il potere con un colpo di stato quattro anni prima. La donna asiatica era la moglie Khin May Than, nota anche come Kitty Ba Than, ed erano in visita a Vienna, dove il generale riceveva cure per un disturbo mentale non meglio specificato. In compagnia di un entourage di quasi cinquanta alti ufficiali dell’esercito e agenti dei servizi segreti militari, avevano preso in affitto l’intero Schloss Laudon per il tempo necessario affinché Ne Win facesse le sue consultazioni giornaliere con il dottor Hans Hoff, uno degli psichiatri più celebri e stimati d’Austria.
La risoluta signora europea che aveva affrontato in maniera così coraggiosa la più alta élite del governo birmano era Inge Eberhard. Meglio nota come Sao Nang Thusandi dai sudditi di uno dei più prosperi Stati shan della Birmania nordorientale, situato nella valle di Hsipaw, lungo la vecchia ferrovia birmana da Mandalay a Lashio. Il marito, Sao Kya Seng, era stato l’ultimo saopha, o principe, di Hsipaw, e le due bambine che erano con lei allo Schloss Laudon nel giugno 1966 erano Mayari e Kennari, giovani figlie della coppia principesca.
Inge conobbe Sao Kya Seng a Denver, in Colorado, dove entrambi frequentavano l’università nei primi anni Cinquanta. Durante il periodo del corteggiamento, lei non seppe mai che Sao era tutt’altro che un semplice studente.
Si innamorarono e convolarono a nozze nel marzo del 1953.
Sao Kya Seng aveva assunto il titolo di Saophalong («grande signore del cielo») in Birmania nel gennaio 1947, prima di andare a studiare negli Stati Uniti. Inge fu ufficialmente insediata come Mahadevi («principessa celeste») di Hsipaw il 2 novembre 1957 presso il palazzo reale. Divennero una delle coppie principesche più famose dei circa trenta Stati shan che insieme costituivano una regione semiautonoma all’interno dell’Unione birmana.
Aage Krarup-Nielsen, uno scrittore danese che visitò Hsipaw alla fine degli anni Cinquanta, scrisse nel suo libro De gyldne pagoders land («La terra delle pagode d’oro») che «all’inizio fu un po’ uno shock per la gente del luogo avere come principessa una giovane donna europea, e molti erano in apprensione. Ma presto sciolsero il proprio riserbo, e ora la Mahadevi è amata e ammirata dall’intera popolazione di Hsipaw, che la considera una di loro».
Poco dopo il ritorno a Hsipaw, Sao Kya Seng, con la sua istruzione americana all’occidentale, introdusse nuove idee nel vecchio sistema feudale di Stato. Forse l’idea più radicale che si portò dietro fu quella di dare tutte le risaie di famiglia ai contadini che le coltivavano. Oltre a ciò, comprò trattori e attrezzi agricoli, che i contadini usarono a titolo gratuito, disboscò il terreno per sperimentare nuove colture e cominciò l’esplorazione mineraria nella valle piena di risorse. In seguito reinvestì i profitti nella ricerca e nello sviluppo, desiderando condividere con tutti la ricchezza della valle.
I vecchi braccianti di Hsipaw parlano ancora con nostalgia dei tempi in cui c’era il loro giovane principe. Allora avevano un tenore di vita molto più alto rispetto a oggi, sotto la disonesta amministrazione dei successivi regimi militari totalitari. «Aveva lo stesso spirito dell’attuale re di Thailandia», ricorda un vecchio nativo di Hsipaw, ora esule in Thailandia. «Lavorava molto, era onesto e incorruttibile. A quei tempi avevamo sempre del buon riso da mangiare. Non come ora, che gli abitanti di Hsipaw devono mangiare riso scadente della Birmania centrale perché il governo pretende il raccolto locale per sé.»
La coppia principesca era tenuta in così alta considerazione che, quando mia moglie viveva da giovane nella Hsipaw degli anni Sessanta, in molte case si usava ancora collocare la foto ufficiale del matrimonio di Sao Kya Seng e Sao Thusandi accanto alle immagini del Buddha sull’altare di famiglia.
Nel corso dei secoli, gli shan dell’altopiano in Birmania del nord avevano goduto di un ampio grado di autonomia. L’autonomia fu abolita quando l’esercito guidato dal generale Ne Win prese il potere nel 1962. Il generale sostituì immediatamente il vecchio sistema governativo federale del Paese con una struttura politica fortemente centralizzata. La nuova struttura politica non conferiva alcun diritto o status giuridico speciale alle nazionalità non birmane come gli shan.
Gli scrittori birmani, e anche alcuni occidentali, di solito accusano gli inglesi di aver applicato, durante il loro periodo di governo, la tattica del «divide et impera», tramite un deliberato isolamento degli shan e delle altre minoranze dalla politica birmana ufficiale. Per quanto ciò possa essere vero, è anche vero che nel corso della storia le varie popolazioni dell’altopiano nella periferia della Birmania centrale sono state inclini a percepire i birmani come acerrimi nemici e non degni di fiducia.
Gli inglesi fecero poco più che sfruttare quest’ostilità già esistente da secoli.

La Birmania è un Paese in cui risiedono tante nazionalità differenti: i kachin, i karen, i kayah (o karenni), i chin, i pa-o, i palaung, i mon, i birmani, i rakhine e gli shan. Questo Stato, con gli attuali confini, è una creazione britannica ricca di contraddizioni e divisioni interne.
La Birmania del nord è passata attraverso le guerre civili di una moltitudine di nazionalità etniche. Ha subito invasioni da parte degli inglesi, dei giapponesi e dei signori della guerra cinesi, con la conseguente dislocazione e crescita delle milizie in rivolta per tutto l’altopiano. Negli ultimi due secoli, ciascun governante birmano ha dovuto affrontare le varie forze in conflitto nella società che contestavano regolarmente la sua autorità, senza per questo riuscire a tenerle sotto controllo.
I rakhine (o arakan), i chin, i kachin, i lahu, i lisu, gli akha e alcuni gruppi minori sono di ceppo birmano-tibetano.
L’origine dei karen, dei karenni e dei pa-o è controversa, mentre i mon, i wa e i palaung parlano lingue mon-khmer. Gli shan di Sao Kya Seng, d’altra parte, non sono imparentati con nessun altro gruppo etnico del paese. In base al censimento del 1931, l’ultimo valido effettuato in Birmania, essi costituiscono il sette per cento della popolazione. Inoltre, la parola shan è la corruzione di Siam o Syam, ed è il nome dato a questo popolo dai birmani. Gli shan chiamano se stessi «dtai» (pronunciato a volte «tai» oppure, oltre il confine nel Sudovest della Cina, «dai») e sono imparentati con i thai e i laotiani, di cui condividono i confini.
L’origine dei popoli thai, come sono collettivamente chiamati, è ancora oggetto di dibattito accademico ma, secondo le teorie più accreditate e scientificamente documentate, la culla della loro etnia va rintracciata nello Yunnan e nel Sichuan, in Cina meridionale. Gli storici cinesi fanno menzione di una tribù thai chiamata «Grande Mung», che abitava la parte occidentale del Sichuan attorno al 2000 a.C. Non è chiaro se la «Grande Mung» fosse davvero uno Stato thai e che cosa ne fu di questo Stato, tuttavia, secondo la maggior parte degli storici contemporanei, i popoli di origine thai, per un qualunque motivo, cominciarono a migrare verso il Sudest dell’Asia nel I secolo a.C. L’ultimo Stato thai unificato in Cina meridionale fu il regno di Nanzhao, che nel VII secolo copriva vaste aree dello Yunnan meridionale.

Questo regno progressivamente andò in declino e terminò con la conquista da parte di Kublai Khan nel 1253. Lo spostamento verso sud che era cominciato più di mille anni prima portò alla fondazione di città, principati e regni thai in tutto il Sudest asiatico.
Un gruppo dell’ovest, in seguito denominato degli shan, partendo dalla Cina meridionale discese il fiume Salween fino a raggiungere il vasto altopiano nel nordest della Birmania attuale. Gli shan si insediarono nelle valli tra le alture, su entrambe le sponde del fiume, e fondarono una moltitudine di principati, differenti per importanza e dimensioni. Il principato più piccolo, Namtok, misurava 35 chilometri quadrati ed era abitato da poche centinaia di contadini sparpagliati in due o tre minuscoli villaggi. Il più esteso, Kengtung, abbracciava 32.000 chilometri quadrati, più dello Stato del Maryland. Con 11.890 chilometri quadrati, Hsipaw era uno degli Stati più grandi, all’incirca delle dimensioni del Connecticut. Gli shan erano, per la maggior parte, coltivatori di riso, semi di soia, frutta e verdura, diligenti nel lavoro e relativamente floridi.
Di fatto, non furono mai uniti a livello politico ma, per un breve periodo dopo la caduta della dinastia di Pagan nel 1287, invasero la maggior parte dell’alta Birmania e imposero il proprio governo agli altri gruppi etnici. Secondo lo studioso di cultura birmana statunitense Josef Silverstein, «gli shan furono diretti rivali politici dei birmani per il controllo dell’intera area a partire da quel periodo fino al 1604, quando cessarono la resistenza e accettarono il governo indiretto dei birmani».
Comunque, nonostante la crescente pressione dei regni birmani nelle pianure centrali e la loro presenza militare in alcuni principati shan, i capi ereditari dei popoli shan, o saopha (sawbwa in lingua birmana), furono capaci di mantenere un ampio margine di sovranità. Né Birmania né Cina riuscirono mai a realizzare una conquista effettiva di questi principi fieramente indipendenti e dei loro Stati. Come i loro cugini thai e laotiani, gli shan erano buddisti theravada, con una propria scrittura, una propria storia e una propria secolare letteratura.
Il loro status politico, tuttavia, subì drastici mutamenti nel XIX secolo, quando l’Asia sudorientale divenne arena di scontro tra le due potenze coloniali più importanti del tempo: Francia e Inghilterra. Mentre la Birmania veniva conquistata dagli inglesi, i francesi avevano esteso la propria sfera d’influenza all’attuale Laos, verso est. Tra un Laos sotto controllo francese e una bassa Birmania sotto controllo inglese, si stendeva l’aspro e selvaggio altopiano shan, con la sua ricchezza di principati e governanti locali. Sir Charles Crosthwaite, capo commissario della Birmania dal 1887 al 1890, descrisse la situazione in questo modo:

A vedere il carattere del paese situato tra il Salween e il Mekong, esso era senz’altro il rifugio di tutto il malcontento e l’illegalità della Birmania. Se non fosse stata retta da un governo leale e a noi alleato, e anche del tutto forte ed efficiente, questa regione sarebbe diventata la base operativa di ogni capo bandito o pretendente, in cui radunare seguaci e tramare congiure… Per i responsabili della pace in Birmania, una tale prospettiva non era attraente.

Per evitare la possibile comparsa di un’incontrollabile zona cuscinetto tra le due potenze coloniali del tempo, gli inglesi estesero la propria area di conquista in Birmania affinché includesse gli Stati shan, i quali furono «pacificati», con un considerevole dispendio di vite umane tra gli shan, negli anni tra il 1885 e il 1890. Un altro motivo per cui gli inglesi decisero di prevenire i francesi e di tenerli a bada sull’altra sponda del Mekong era che le rotte commerciali trans-birmane verso la Cina passavano attraverso i confini nordorientali del territorio shan. Diversi delegati inviati in Birmania dalla Compagnia delle Indie orientali nel periodo 1700–1824 avevano fatto rapporto sugli intensi e proficui commerci con la Cina dall’alta Birmania e dagli Stati shan.
I confini attuali della Birmania nordorientale sono, in altre parole, una conseguenza diretta della rivalità anglo-francese e della lotta per il controllo dei fruttuosi commerci con la Cina nel XIX secolo. Gli shan e le numerose tribù che abitano sui monti attorno alle loro valli oggi si trovano su tutti i lati dei confini della regione: in tutte le parti della Birmania, della Thailandia, della Cina, del Laos, e perfino nel nordovest del Vietnam.
I circa trenta Stati dell’altopiano Shan nordorientale conseguirono uno status differente rispetto a quello della Birmania propria, che era una colonia direttamente amministrata dalla Gran Bretagna. Divennero dei protettorati e gli inglesi riconobbero l’autorità dei saopha shan, che godevano di uno status giuridico piuttosto simile a quello dei governanti degli Stati principeschi indiani. Ciascun saopha era responsabile dell’amministrazione e del rispetto delle leggi nel proprio Stato; aveva le proprie forze di polizia armate, i propri giudici, magistrati e funzionari statali.
Nel 1922 gli inglesi crearono gli Stati shan federati (Federated Shan States), e per la prima volta l’area shan ebbe un ente governativo comune a tutti i principati.
Fu istituito il Consiglio degli Stati shan federati, che comprendeva tutti i principi regnanti e il governatore britannico a Rangoon. Il Consiglio si occupava di affari pubblici come sanità, istruzione, edilizia e opere pubbliche. Con gli sforzi di questo ente politico, per la prima volta dopo molti secoli furono instaurati la pace e l’ordine negli Stati shan.
In parte a causa del loro status amministrativo indipendente, questi non furono mai interessati dal movimento nazionalista prebellico, la Dobama Asiayone e le altre organizzazioni che agitavano la Birmania centrale a quei tempi. Il meccanismo coloniale negli Stati shan era sottile: la presenza britannica era limitata a un capo commissario nel centro amministrativo di Taunggyi e a pochi funzionari politici negli Stati chiave più importanti. D’altra parte, fu fatto molto poco per sfruttare le ricche risorse naturali dell’area e per risollevarla dal punto di vista economico. La maggiore preoccupazione degli inglesi in Birmania fu di trasformare le pianure in un granaio e in una fonte di esportazione di riso per l’India, loro fiore all’occhiello. Per gli Stati shan, l’epoca coloniale significò pace e stabilità, ma fu anche un periodo di ristagno politico ed economico. In seguito all’anarchia che si era scatenata nello Yunnan negli anni Trenta, quando i signori della guerra cinesi combattevano tra loro per il controllo dei propri stessi feudi, non solo erano crollati i commerci con la Cina ma anche attività più redditizie come il commercio dell’oppio. Prima della seconda guerra mondiale, fu lo Yunnan, non la Birmania, la fonte più importante del mondo di oppio illegale.
Negli Stati shan, la placida e stagnante pax britannica si concluse bruscamente quando i giapponesi invasero e occuparono la maggior parte del Sudest asiatico nel 1942.
Sull’altopiano shan furono combattute feroci battaglie tra l’esercito imperiale giapponese e le unità dei nazionalisti cinesi (Kuomintang), spronate dagli inglesi e inviate nello Yunnan dai signori della guerra a capo dell’armata di Chiang Kai-shek. Sia gli Alleati che i giapponesi bombardarono a turno le città shan, lasciando la regione distrutta e in preda alla confusione.
Il 25 settembre 1943, dopo aver decretato la formale indipendenza della Birmania, i giapponesi cedettero l’intero territorio a eccezione del Kengtung e del Möng Pan, due Stati shan che passarono al governo fantoccio del Siam (odierna Thailandia). Nel 1944 furono fondate negli Stati shan alcune sezioni della Lega della Gioventù dell’Asia Orientale (East Asiatic Youth League) e di altre associazioni nazionaliste. Il cambiamento istituzionale nel collegamento tra le zone di confine e la Birmania vera e propria comportò anche un cambiamento politico. È in questo periodo, infatti, che iniziò il risveglio delle diverse popolazioni degli Stati shan.
Quando finì la guerra e il dominio britannico fu ristabilito, i nazionalisti birmani continuarono la lotta per l’indipendenza. Le minoranze che vivevano nelle zone di confine del Paese, nonostante fossero più politicizzate che mai, svilupparono un movimento notevolmente distinto dall’indirizzo generale della politica birmana. Nel novembre 1946, i capi shan, kachin e chin organizzarono un congresso a Panglong, un piccolo centro commerciale a nord di Loilem. Il primo congresso di Panglong varò un piano di ricostruzione delle aree di confine, devastate dalla guerra. Venne inoltre fondato il Consiglio Supremo dei Popoli delle Alture (Supreme Council of the United Hill Peoples), per salvaguardare gli interessi degli abitanti dei territori di frontiera.
Alla seconda conferenza di Panglong, nel febbraio 1947, venne deciso di chiedere l’indipendenza alla Gran Bretagna e unirsi alla Birmania. Il generale Aung San, leader dei nazionalisti birmani, insieme ai capi delle minoranze (a eccezione dei karen e dei karenni che in seguito ricorsero alla lotta armata) firmarono lo storico Patto di Panglong. Questo patto è il documento cruciale che condizionerà i rapporti del dopoguerra tra le minoranze e le autorità birmane di Rangoon. Il 12 febbraio, data in cui venne siglato, fu dichiarato Giornata dell’Unificazione (Union Day), festa nazionale birmana.
I saopha shan chiesero anche il diritto a uscire dall’Unione Birmana se, dopo un periodo di dieci anni (ovvero nel 1958), non fossero stati soddisfatti della nuova federazione. Tale diritto fu garantito anche dalla prima Costituzione birmana.
In teoria tutto era pronto per la dichiarazione d’indipendenza dalla Gran Bretagna, prevista per il 4 gennaio 1948, quando avvenne un fatto tanto imprevisto quanto tragico. Il 19 luglio 1947 la Birmania fu sconvolta dalla notizia dell’assassinio di Aung San, ucciso insieme ad altri capi tra cui Sao Sam Htun, saopha di Möng Pawn.
La situazione della Birmania il giorno della sua indipendenza nel 1948 non poteva essere peggiore. Durante la guerra il Paese aveva subito alcuni tra i più violenti attacchi aerei condotti in Asia, le campagne erano devastate e le strutture istituzionali al collasso. Inoltre, i politici più abili erano stati assassinati ancor prima che fosse proclamata l’indipendenza. U Nu, il nuovo leader e primo ministro della Birmania indipendente, era un politico talentuoso e colto, ma fu aspramente criticato per non essere la solida guida di cui lo stato aveva un disperato bisogno. Con un governo centrale percepito come debole, alcune unità dell’esercito si ribellarono, i karen, i karenni e i mon presero le armi, e il potente Partito Comunista Birmano (CPB) entrò nella clandestinità organizzando forze di guerriglia.
Nel tentativo di creare unità nazionale, il capo shan Sao Shwe Thaike venne insignito della carica formale di primo presidente dell’Unione Birmana, ma allo stesso tempo ciò che avveniva lungo il confine cinese vanificava qualsiasi tentativo di evitare contrasti interni. Alla fine del 1949, le truppe del Kuomintang (KMT) provenienti dallo Yunnan meridionale, incapaci di sostenere l’attacco della vittoriosa Armata Rossa Cinese, attraversarono il confine internazionale ed entrarono in territorio shan. Guidate da un eroe di guerra, il generale Li Mi, invasero Kengtung e cercarono rifugio sulle montagne.
Il KMT reclutò combattenti nelle zone di confine aumentando il numero dei propri soldati da circa 1700 nei primi mesi del 1950 a 4000 nell’aprile del 1951. L’esercito birmano fu inviato negli stati shan per liberare il paese dagli intrusi, ma l’impresa si rivelò fallimentare. U Nu sollevò allora la questione all’assemblea generale delle Nazioni Unite che, il 22 aprile 1953, adottò una risoluzione per chiedere al KMT di deporre le armi e di lasciare il paese. Ignorando l’istanza dell’ONU, il numero di soldati del KMT nel territorio shan salì a 12000 unità alla fine del 1953, mentre la guerra civile imperversava nella regione.
Fu a questo punto, cruciale per la storia moderna birmana, che Inge e il marito shan arrivarono in Birmania. Hsipaw non era direttamente condizionata dalla presenza del KMT, ma in altri stati shan la situazione era tesa. Il tradizionale ritmo della vita, nelle fertili e tranquille valli della regione, era turbato dai tumulti sul confine con lo Yunnan. Il KMT aveva instaurato il regno del terrore dalle sue roccaforti sugli altipiani e dall’altra erano sempre più numerose le truppe birmane che, fino al 1955, si riversarono qui nel tentativo di scacciare gli invasori indesiderati. Gli stati shan più a sud erano stati sottoposti ad amministrazione militare dal settembre del 1952 con l’obiettivo di sopprimere le azioni del KMT, ma il risultato fu che gli shan videro così compromessa la propria autonomia. Per molti dei contadini che abitavano queste zone, significava entrare per la prima volta in contatto diretto con i birmani, e questi incontri furono, nella maggior parte dei casi, spaventosi e spesso letali.
L’invasione del KMT, sommata all’incapacità del governo di respingere gli intrusi, fece sì che gli shan rimanessero schiacciati tra due forze opposte, entrambe sentite come straniere; ciò condusse alla nascita di un potente movimento nazionalista shan. Il governo centrale guardò con timore a tale sviluppo a causa del diritto costituzionale alla secessione.
I tentativi delle autorità di soffocare sul nascere i movimenti nazionalisti, mettendo in campo l’esercito e i servizi segreti, non fecero che peggiorare la situazione: molti giovani si trasferirono nella giungla, dove si organizzarono in unità di guerriglia. Già nel 1959, gruppi di combattenti shan attaccarono accampamenti dell’esercito birmano e assalirono avamposti isolati in cerca di armi. I guerriglieri riuscirono anche a impadronirsi del presidio militare presso la città di Tang-yan e a tenerlo per alcuni giorni.
Mentre tali violenze avvenivano nelle remote aree di confine, a Rangoon i membri del Consiglio di Stato shan avviarono un’iniziativa legislativa per salvare l’Unione potenziandone il carattere federale. Il 24 aprile 1959, durante una splendida cerimonia a Taunggyi, capitale degli stati shan, tutti i trentaquattro saopha rinunciarono ufficialmente alla propria carica unificando gli stati shan in un unico Stato, amministrato da un governo elettivo. Forse Rangoon, a quel tempo comandata da un esecutivo militare di transizione, considerò tale evento come una vittoria sui “signori feudali” che avevano “rinunciato al proprio potere”, ma per il popolo shan significò il riconoscimento ufficiale di un processo avviato diversi anni prima: i saopha non avevano consegnato il potere a Rangoon, ma a un governo shan. Molti dei saopha più aperti al cambiamento, tra cui Sao Kya Seng, continuarono a occuparsi di politica, solitamente in veste di membri del Consiglio di Stato shan e della Camera delle nazionalità (o Camera Alta), dell’allora bicamerale parlamento birmano.
La guerra, e la massiccia concentrazione di forze governative nelle terre di confine a causa dell’ingerenza del KMT, aveva di fatto vanificato gli sforzi per instaurare un sistema più democratico nello Stato shan. L’insurrezione avvenuta nella regione, per quanto contenuta e relativamente insignificante, rappresentava un ulteriore problema. Diversi capi shan dovettero affrontare un dilemma quando molti dei loro sudditi si ribellarono al governo centrale di Rangoon. Il popolo di Hsipaw, in particolare, ingrossò le file dell’esercito ribelle shan con molti combattenti e quadri, la maggior parte dei quali erano, a quel tempo, indipendentisti.
Si dice che uno dei primi leader separatisti, Hsö Hten, anch’egli originario di Hsipaw, nel 1961 si recò in segreto a Rangoon per mettersi in contatto con Sao Kya Seng. L’intermediario, un ragazzo shan che studiava nella capitale, chiese al principe di Hsipaw se fosse disposto a incontrare un rappresentante dei ribelli. Allora Sao Kya Seng tirò fuori la Costituzione e lesse ad alta voce il giuramento di lealtà che aveva fatto in quanto membro della Camera delle nazionalità dell’Unione birmana. Sao Shwe Thaike, Sao Kya Seng e altri shan iniziarono a organizzare tentativi più coordinati per risolvere, con mezzi politici, la dilagante rivolta. Ipotizzarono che, ristrutturando il sistema federale, l’Unione sarebbe sopravvissuta e le insurrezioni sarebbero state sedate. Nel 1960, un governo eletto democraticamente, e ancora una volta guidato da U Nu, era tornato al potere a Rangoon, e il primo ministro era in sintonia con l’orientamento federale.

Nel 1961 scoppiò un’altra rivolta nella Birmania del nord: i kachin, in maggioranza cristiani, presero le armi per protestare contro la decisione di fare del buddhismo la religione di stato. Erano anche altri i motivi di scontento e, colto di sorpresa dall’improvvisa esplosione di violenza, nel 1962 il governo di U Nu convocò a Rangoon l’Assemblea delle Nazionalità per discutere l’assetto futuro dei territori di confine (o Stati Costituenti, come venivano chiamati allora) e, se necessario, attenuare il carattere federale della Costituzione. Tutti i ministri del governo, i membri del Parlamento, i capi degli Stati Costituenti, e i loro ministri parteciparono all’assemblea.
Il 2 marzo 1962, prima che fosse presa qualsiasi decisione, il generale Ne Win, comandante in capo dell’esercito birmano, organizzò un colpo di stato e sequestrò tutti i partecipanti all’incontro. Sao Shwe Thaike fu tra gli arrestati e il figlio diciassettenne fu ucciso poiché, secondo la versione ufficiale, “si oppose all’arresto”. Anche il deposto presidente morì, in prigione otto mesi più tardi, probabilmente giustiziato senza processo.
L’esercito affermò di essere dovuto intervenire affinché “l’Unione non si disintegrasse”. Altri analisti hanno osservato che l’esercito si era rafforzato grazie alla guerra civile e in particolare nella lotta contro il KMT.
Era diventato un incontrollabile stato dentro lo stato, e divenne lo stato stesso, con a capo il generale Ne Win.
Sao Kya Seng aveva partecipato alla seduta parlamentare il giorno prima del colpo di Stato, ed era poi volato a Taunggyi per far visita alla sorella in fin di vita. Ignaro di ciò che era successo a Rangoon, partì presto quella mattina per non mancare il volo per Lashio, l’aeroporto più comodo per Hsipaw. Ma all’uscita di Taunggyi, sulla strada per Heho, i militari avevano già allestito un posto di blocco, e lo fermarono. Sao Kya Seng fu visto per l’ultima volta mentre i soldati lo portavano via.
Inge rimase sola a Hsipaw ad affrontare i labirinti della politica birmana. Cercò in tutti i modi di scoprire cosa fosse successo a Sao Kya Seng, ma ciò che ottenne dal nuovo governo militare di Rangoon e dai suoi rappresentanti a Taunggyi fu un miscuglio di informazioni contraddittorie, discorsi vaghi e vere e proprie bugie. Gli eventi successivi costrinsero Inge, Mayari e Kennari a lasciare il Paese nel maggio del 1964. Andarono in Austria, dove Inge trovò lavoro presso l’Ambasciata Thailandese di Vienna e dove continuò a cercare la verità sulla sorte del marito.
Dal breve incontro con Kitty Ba Than al castello di Laudon, nel giugno del 1966, Inge seppe soltanto che suo marito era “detenuto a Rangoon ed era trattato bene”. Tuttavia, in precedenza, le autorità militari avevano sostenuto che Sao Kya Seng non era mai stato arrestato: versione smentita nel 1964, a Rangoon, poco prima che Inge lasciasse il paese. Bo Setkya, un navigato politico birmano con solidi agganci ad alti livelli, le aveva detto che Sao Kya Seng era stato giustiziato dall’esercito nel campo di Ba Htoo Myo, a nord di Taunggyi, poco dopo l’arresto. Più tardi nel 1966 Inge, Mayari e Kennari partirono per gli Stati Uniti, dove si stabilirono come private cittadine.

Tragedie familiari come questa non rappresentano casi isolati nella Birmania dei generali, dove migliaia di persone sono svanite nel nulla negli ultimi trent’anni*. La storia del principe di Hsipaw, qui magnificamente raccontata dalla stessa Inge, è rara nel suo essere ben documentata. È una storia che parla di coraggio e della brutalità di un regime che ha tentato di controllare il paese reprimendo con violenza la popolazione, che ha eliminato qualsiasi temibile oppositore, senza accorgersi dell’inefficacia dei metodi utilizzati. Con il colpo di Stato, la Costituzione del 1947 fu abrogata e anche il diritto di uscire dall’Unione venne annullato. Come prevedibile, il risultato fu controproducente: si riaccesero le rivolte negli Stati shan e kachin e migliaia di giovani sono fuggiti nelle montagne. Hsipaw ha continuato a supportare gli eserciti dei ribelli shan con giovani combattenti.
Inge porta ancora i capelli lunghi acconciati secondo la tradizione shan e non ha dimenticato gli anni trascorsi tra le fertili valli nel nord del Paese. Ha condiviso questi ricordi felici con le figlie, mentre crescevano negli Stati Uniti. Tutti gli anni Mayari e Kennari scrivono alle autorità militari di Rangoon, chiedendo informazioni sul padre. Non hanno mai ricevuto risposta.


Bertil Lintner

Bertil Lintner è un giornalista freelance, vive in Thailandia e ha scritto molto sull’insurrezione birmana. È un abituale collaboratore della Far Eastern Economic Review e di altre pubblicazioni sia asiatiche che europee. È sposato con una donna shan nata a Hsipaw. La prefazione di questo libro è basata su uno speciale che Lintner scrisse nel 1988 per il Bangkok Post, e che fece conoscere al pubblico la storia di Inge Sargent. È autore di quattro libri sulla Birmania: Outrage: Burma’s Struggle for Democracy (1989), Land of Jade: A Journey through Insurgent Burma (1990), The Rise and Fall of the Communist Party of Burma (1990), and Burma in Revolt (1999). Nel 1992 Lintner ha ricevuto il premio della MacArthur Foundation.

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