17 luglio 2017

Ecologia delle parole e delle azioni

-di Carola Benedetto e Luciana Ciliento-

Tornavamo in Ardèche per intervistare Pierre Rabhi, – fondatore dell’agro-ecologia in Francia, promotore di un Nuovo Umanesimo per una società ecologica e solidale, che ha suscitato perfino l’interesse di Leonardo Di Caprio – questa volta per il nostro libro sulla terra. Lasciata l’autostrada a Montélimar all’altezza della centrale nucleare, risalimmo verso Aubenas, tra vigne, paesini in pietra e desolate periferie industriali.

Pierre Rabhi

Nuove macchie di colore però spiccavano nel solito paesaggio, erano i manifesti della campagna elettorale che teneva tutta l’Europa col fiato sospeso.
Continuavamo a parlare dell’intervista, ma in verità entrambe contavamo quante volte Marine Le Pen si affacciasse fra i volti dei candidati.
Una scioccante Brexit e la vittoria di Trump avevano già seminato in noi sufficiente inquietudine.
No, anche Le Pen no.
Poi ha vinto Macron e, pur con alcuni dubbi, abbiamo tirato un sospiro di sollievo.
Ma la sorpresa è stata che a François Hulot è andato il Ministero alla Transizione Ecologica e Solidale.
Giornalista-attivista-ecologista, aveva collaborato con Rabhi sin dal 2001.
A quattro mani avevano scritto Graines de possibles (Calmann-Lèvy, 2005) e sua era la prefazione al Manifesto per la terra e per l’uomo (add editore, 2011).

Nicolas Hulot e Pierre Rabhi.

Hulot, che aveva detto di no a Chirac, Sarkozy e Hollande, accettava la proposta del fondatore di En Marche, che già nel 2015 affermava: «L’ecologia è il soggetto più umanista che c’è […]. Noi abbiamo tutte le carte in mano, occorre pensare al pianeta come un immenso spazio di solidarietà».

Emmanuel Macron e Nicolas Hulot.

Temi che rimandano proprio al Manifesto dove si legge: «Perché non sognare un cantiere internazionale di ricostruzione del nostro meraviglioso Pianeta? Il potere è nelle nostre mani».
Se in questo collegamento ci sia un fondo di verità non ci è dato saperlo, sta di fatto che il governo francese ha annunciato un programma a forte impatto ecologico: eliminare l’uso e la produzione di carbone entro il 2050; disincentivare le automobili a benzina e diesel; riciclare tutti i rifiuti plastici entro il 2025; chiudere 17 dei 58 reattori nucleari sul territorio nazionale e promuovere la ricerca e l’impiego delle fonti rinnovabili.
Anche se sulla carta sono più che ottime intenzioni, in Francia non manca uno sguardo critico sul progetto di Macron che in parte si limiterebbe a proseguire azioni già intraprese dai governi precedenti e in parte non dettaglierebbe gli interventi in ambito agricolo, oltre a tacere sulle centrali a carbone di proprietà francese site all’estero.
Sono state inoltre contestate alcune scelte del governo sugli “interferenti endocrini” (Edc), sostanze che possono essere causa di molte malattie.
Ma Macron non indietreggia e invita perfino gli scienziati americani, disorientati dai tagli che Donald Trump annuncia alla ricerca e alla protezione ambientale, a spostarsi a Parigi per Make our planet great again, restituire “grandezza” al nostro pianeta.
Dall’altra parte dell’oceano “the Donald” tra un America first e un Make America great again intende inoltre sottrarre gli USA agli impegni sottoscritti da Obama al COP21, la conferenza di Parigi sul clima che mira a tagliare le emissioni inquinanti e limitare il riscaldamento globale.

Donald Trump ed Emanuel Macron.

Ma la realtà è sempre più complessa e, una volta tanto, per fortuna.
Mentre infatti Trump a Taormina rilancia il sostegno al carbone, 25 città americane – alcune delle quali per altro lo avevano votato al 75% – si sfilano e aderiscono a Ready for 100, la campagna di Sierra Club, principale organizzazione ambientalista statunitense, che vuole arrivare ad alimentare 100 città americane solo con energia pulita.
Stessa aria anche con gli imprenditori.
Elon Musk, CEO di Tesla, a seguito del tradimento dell’accordo di Parigi lascia il suo ruolo di consigliere economico del tycoon, dopo aver tentato invano di dissuaderlo con una lettera aperta firmata da 630 imprese.
Lo stesso fa Bob Iger, CEO di Disney.
Infine, anche colossi come Apple cercano di mitigare la reticenza del Presidente al green comprando intere pagine dei quotidiani per sostenere l’energia pulita come volano dell’economia.
Una presa di posizione forte quella di Apple a cui si auspica faccia seguito altrettanto forte cambio di rotta, da parte sua e delle altre 15 multinazionali segnalate da Amnesty International e Unicef, rispetto allo sfruttamento di minatori-bambini del Congo nell’estrazione di cobalto.

Estrazione di cobalto in Congo.

Il recente G20 di Amburgo si è concluso con Trump solitario e fedele al proprio programma elettorale in materia di clima.
Fedeltà che Macron proverà a rimettere in discussione a dicembre, durante un nuovo incontro convocato proprio nella capitale francese. Ma ben prima, imprevedibile come sempre, il Presidente americano ha aperto uno spiraglio sulle sue posizioni nel corso della sua visita per i festeggiamenti francesi del 14 luglio.
Senza esitazioni invece procedono India e Cina le quali, oltre ad aver ratificato l’accordo COP21, – che all’inizio le vedeva ampiamente scettiche in nome del diritto a inquinare, rivendicando l’uso del carbone per la loro crescita economica – sono anche impegnate in investimenti vertiginosi nelle rinnovabili, prova del fatto che quest’ambito adesso è una prospettiva economica davvero alettante.
Sempre più evidente, infatti, è come la produzione di carbone cominci a essere meno conveniente. Il costo per chilowattora di elettricità non è più competitivo.
La Cina nel 2016 ha installato l’equivalente della metà del fotovoltaico mondiale, oltre ad aver annullato la costruzione di 104 nuove centrali a carbone, imposto quote minime di veicoli elettrici dal 2018 e dichiarato che investirà 361 miliardi di dollari nelle rinnovabili entro il 2020.
Non fa di meno l’India. Pur con un’economia ancora in gran parte legata al carbone, dal 2022 non solo smetterà di incrementare il settore ma lancerà investimenti nell’energia solare per 3 miliardi di dollari.
Tutti segnali che indicano come, a farsi strada, ben più dei proclami sia in fondo l’economia.
Questo è il momento della green economy che genera reddito e quindi ha ottime chances di prendere il sopravvento sul ritorno ai fossili. Piaccia o no alle varie demagogie, la pianificazione economica questa volta pare andare nella direzione delle necessità ecologiche di cui tutti noi, fra incendi, desertificazioni e iceberg alla deriva, abbiamo urgente bisogno.
E se, come dice Rabhi, ciò che conta sono le azioni concrete, allora se in India oltre 800 mila persone hanno piantato 50 milioni di alberi in un giorno e in Cina è stato costruito un impianto fotovoltaico con una capacità di 50 megawatt, tutto sommato qualche speranza per il pianeta ancora c’è.

Carola Benedetto è indologa, regista, ha co-diretto Pierre Rabhi. Il mio corpo è la terra, scritto e diretto Song of the Earth, finalista al Fringe Sustainable Art Award 2014, produzione Gruppo del Cerchio.
Luciana Cilento
è traduttrice, esperta di comunicazione e insegnante di lingue, per il Gruppo del Cerchio co-dirige il festival internazionale Per Sentieri e Remiganti – il festival dei viaggiatori extraordinari.
Per add editore pubblicheranno nel gennaio 2018 un libro sul tema della terra.

Immagine di copertina: Berndnaut Smilde, Nimbus d’Aspremont, 2012.

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