8 marzo 2017

8 marzo 2017 – Sciopero delle donne

–  di Ilaria Benini –

Oggi c’è lo sciopero delle donne, un’iniziativa di portata globale per esprimere la necessità di un cambiamento di cultura e di mentalità nel mondo, per l’uguaglianza dei diritti tra i diversi generi, per il diritto alla diversità, contro la violenza sulle donne.
Le organizzatrici chiedono alle lavoratrici di rimanere a casa questo mercoledì 8 marzo 2017 per “Un giorno senza una donna” (A Day Without a Woman), in Italia #nonunadimeno, una giornata di protesta intesa a richiamare l’attenzione sul ruolo fondamentale che le donne svolgono nella forza lavoro.

L’impossibilità a partecipare di moltissime donne lavoratrici precarie, senza contratto, senza protezione, senza la possibilità di rinunciare agli euro di una giornata di lavoro ci ha convinte a cogliere l’occasione per riflettere, essere attive, condividere, contribuire al cambiamento. Le lavoratrici di tutte le categorie l’8 marzo possono scioperare, leggiamo ovunque.
E le lavoratrici senza contratto e categoria cosa possono fare?
Gli ultimi dati Istat disponibili (2015), dicono che in Italia il tasso d’occupazione maschile è del 65,5 per cento e quello femminile del 47,2 per cento: un divario di 18,3 punti percentuali.

Non possiamo ignorare questa giornata e questa chiamata alle armi: a che punto siamo della Storia? Abbiamo l’equipaggiamento adeguato per prendere in mano questa lotta, con la crisi della democrazia partecipativa che ottunde i sensi e un individualismo carrieristico che incastra mille bastoncini e travi tra le ruote? La nostra piccola casa editrice interviene scegliendo di interrompere in anticipo la giornata lavorativa per contribuire alla protesta, perché ci sia lo spazio di partecipare ai dibattiti e ai cortei della nostra città. Così non avremo solo una questione di genere in mente oggi, ma avremo chiaramente di fronte anche una questione di classe.

L’idea dello sciopero parte dagli Stati Uniti dagli stessi gruppi della società civile che a gennaio hanno organizzato le numerose Women’s Marches, o manifestazioni delle donne, il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump, con l’obiettivo di “inviare con forza alla nostra nuova amministrazione il suo primo giorno in carica e al mondo il messaggio che i diritti delle donne sono diritti umani”. Il messaggio è partito, si stima infatti che soltanto a Washington abbiano partecipato 500.000 persone, una folla che non si vedeva dalle proteste contro la guerra in Vietnam, e circa 4 milioni e mezzo di persone in tutto il mondo, tra le 400 manifestazioni americane e le 300 in altri paesi.

Si tratta di una lotta per cambiare le modalità con cui valutiamo e usiamo la nostra libertà. Contro la pressione arcaica a diventare moglie e madre. Per la garanzia a poter diventare madre e lavorare. Contro le rinunce cui le donne sono costrette per ragioni culturali e legislative, per la garanzia a portare avanti i propri sogni di essere umano donna.

Contro lo sfruttamento dei corpi delle donne. Contro l’orrore che risiede nell’umano, contro la cultura che spinge la donna a comportarsi come un uomo per avere uguale rispetto. Perché la socializzazione non ci irrigidisca nelle differenze di genere ben oltre le differenze biologiche. Perché la socializzazione che vivremo nel corteo di oggi sia un pezzo del cambiamento. Perché le donne e gli uomini del futuro siano meno vulnerabili di fronte alle differenze di genere. Per il diritto ad avere una voce, un palco, un impianto che la amplifichi. Per il diritto a protestare, per il diritto a scegliere per sé, per gridare unite contro la violenza sulle donne, contro il linguaggio mediatico sessista, razzista e omofobo.

Dedichiamo questa giornata a tutte le donne rimaste sole a lavorare senza garanzie, perché partecipare porti il cambiamento.


Immagine di copertina: Helena Almeida, Pintura habitada, 1975.

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