3 luglio 2025

Quei bravi ragazzi delle riserve africane: l’intervista a Olivier van Beemen

L’intervista a Olivier van Beemen a cura di Valentina Furlanetto su Il Foglio Review.

Nel primo capitolo racconti di essere stato arrestato in Benin. Come è successo?
Ero arrivato lì per le mie ricerche su African Parks. Era il febbraio 2022, da un anno mettevo da parte del materiale su di loro. I rapporti con la ong erano già tesi. Io e la mia collega, una giornalista locale, raccoglievamo testimonianze e interviste. La sera ci fa visita, nel nostro albergo di Tanguiéta, il commissario della polizia locale in infradito. Vuole sapere cosa siamo venuti a fare, glielo spieghiamo, ma non gli basta. Il mattino dopo ci convocano in commissariato e da lì trascorriamo le successive due settimane fra interrogatori, spostamenti nella foresta, celle luride. Ci ritirano i cellulari, ci caricano su una volante e ci spostano per 400 chilometri, con le manette e senza avere la possibilità di telefonare all’ambasciata. Alla fine vengo espulso. Non ho prove per dire che siamo stati fermati perché indagavamo su African Parks, ma come mi ha detto una mia fonte in Benin «Il parco ha informatori ovunque».

Come è nato il suo interesse per African Parks e cosa fa la ong esattamente?
La missione ufficiale dell’ente è la salvaguardia di natura e animali in una ventina di immense riserve. La ong è stata fondata da Paul Fentener van Vlissingen, miliardario olandese, petroliere e cacciatore, che tra l’altro non trovava contraddizioni tra il suo mestiere e le sue attività parallele di salvaguarda dell’ambiente. L’ente, che ha la sede in Sudafrica, gestisce oggi 22 parchi in diversi paesi, dal Benin all’Uganda, dal Mozambico al Congo, fino in Ruanda ed Etiopia, ha un fatturato che supera i 120 milioni di euro. Sotto il suo controllo ricade una superficie totale che supera i 20 milioni di ettari. Paul Fentener van Vlissingen aveva una cartina dell’Africa nel suo ufficio in cui segnava i territori “conquistati”. Difficile non pensare ai governanti europei e agli esploratori del XIX secolo che avevano cercato nuove zone da sfruttare. Così mi sono incuriosito e ho deciso di andare a vedere e raccogliere interviste con funzionari, bracconieri, custodi, docenti universitari, abitanti delle aree limitrofe ai parchi, attivisti. Ho raccolto materiale per tre anni, ho viaggiato in sei paesi.

Paul Fentener van Vlissingen ha creato un piccolo impero. Ma questo non significa che ci sia qualcosa di sbagliato nella ong. La loro missione, come dice lei, è preservare la natura. Sono “i bravi ragazzi”. Perché dovremmo pensare il contrario?

Sono stati bravi nel creare questa immagine di salvatori “dell’ambiente selvaggio che sta scomparendo”. L’idea iniziale di African Parks era quella di proteggere gli animali dal bracconaggio, ripopolare i parchi e generare profitto creando un flusso di ricchi turisti bianchi. A trarne vantaggio sarebbero stati gli animali selvatici e l’ecosistema, ma anche coloro che abitavano nei dintorni. Però indagando mi sono reso conto che mentre gli animali sono tutelati – anche se in realtà i numeri dicono che gli esemplari non sono aumentati affatto e che alcune specie sono state letteralmente trasferite in altri ecosistemi, sconvolgendone l’ambiente – contemporaneamente sono aumentate le violenze compiute dai ranger contro gli uomini che abitano quelle aree. Secondo un ex ranger del parco Kai amba in Congo nel parco «sono presenti ì diritti per gli animali, ma non sono rispettati i diritti per gli esseri umani». Come rangei erano incoraggiati ad essere violenti brutali, a sparare contro le persone. Si parla di maltrattamenti, torture e stupri. Sono aree dove non esiste più la sovranità dei paesi a cui i parchi appartengono. Prima dell’arrivo di African Parks gli abitanti delle aree interessate tagliavano la legna degli alberi per scaldarsi o cucinare, catturavano piccoli animali per cibarsene, pescavano, raccoglievano erbe medicali, tutto questo è diventato illegale. Queste attività sono state criminalizzate. Per fare largo a giraffe, leoni ed elefanti case, villaggi fattorie, alloggi, pali telefoni – latto ciò che ricorda la presenza umana ne) territori – viene distrutto, raso al suolo. Gli abitanti vengono espulsi dai territori che diventano proprietà dell’ente; i cacciatori nativi vengono sistematicamente accomunati a bracconieri. Ad esempio sono state di recente riconosciute le violazioni dei diritti umani del popolo Baka, la cui terra ancestrale è stata occupata dal Parco Nazionale di Odzala-Kokoua gestito da African Parks nella Repubblica del Congo. Non si possono proteggere i parchi e l’ambiente combattendo gli abitanti e il cambiamento che avviene in tutte le società. Questo è un punto di vista sbagliato, presuntuoso. I locali hanno abitato in questi ambienti da sempre e sanno come vivere e convivere con gli animali. Mi sono chiesto African Parks è la soluzione o il problema?

African Parks* aveva promesso che della presenza della ong avrebbero beneficiato anche gli abitanti. Non è andata così?
No. I top manager dei parchi sono quasi tutti bianchi, europei o sudafricani, quindi non c’è stata una ricaduta occupazionale. Vent’anni dopo, African Parks continua ad avere scarsa fiducia nella leadership africana nera. Le cifre parlano da sole: il direttivo della sede centrale è bianco all’88%, nelle sedi regionali è all’80%, nelle fondazioni olandesi e statunitensi al 100%, nei parchi i direttori sono bianchi al 59% e i presidenti dei consigli di amministrazione al 60%. A livello di gestione e amministrazione locale dei parchi, il personale nero è al 60%. Il braccio destro del fondatore di African Parks, Dick de Kat mi ha detto esplicitamente che «i neri non sono capaci di gestire i parchi». Una frase che io trovo scioccante. Sono sempre un po’ riluttante a parlare di colonialismo o neo colonialismo. Ma per African Parks credo sia un termine appropriato. La ong è stata pensata da un uomo bianco per altri bianchi.

Ci sono modelli alternativi e positivi di parchi africani?
In realtà la maggior parte dei parchi gestiti da africani sono ben gestiti. Ci sono dei paesi che si sono proprio rifiutati di avere African Parks nel loro territorio, ad esempio il Kenya e la Tanzania. Anche il Senegal non ha accettato perché avevano capito che l’associazione avrebbe messo a rischio la sovranità del paese.

È vero che nella ong è coinvolto anche il principe Harry?
Sì, l’organizzazione può contare sul sostegno di vari personaggi facoltosi e famosi come i Buffet, il principe Harry, Leonardo di Caprio. Harry è tutt’ora coinvolto. Aveva una carica formale, come presidente, ma poi ha preteso di far parte del board, quindi di avere delle responsabilità. Ed è stato trascinato in uno scandalo perché ha partecipato attivamente a un progetto di conservazione degli elefanti in Malawi, per trasferire 500 elefanti da una zona a rischio a una riserva più sicura. Lì ci sono stati diversi problemi, incluso un incidente dove un elefante ha ucciso un uomo. Inoltre i grandi finanziatori dovrebbero sapere che le donazioni hanno poche ricadute nel continente africano, piuttosto finiscono in un conto nell’Isola di Man, che è un paradiso fiscale.

African Parks come ha reagito alla sua inchiesta?
Sono stati aggressivi e molto opachi. Dovevo visitare il parco in Uganda e dopo uno scambio abbastanza intenso di mail con la direttrice delle comunicazioni all’improvviso hanno smesso di rispondermi, la direttrice è sparita. Non amano che si metta in dubbio la loro narrazione. È paradossale perché con le ricerche per l’altro libro non mi sono mai sentito intimidito o minacciato, anche se si trattava di indagare su un’azienda multinazionale molto conosciuta e potente. È chiaro che non gli piacevo e non erano felici, ma non mi sono mai sentito a rischio. Con African Parks è stato davvero diverso. I “bravi ragazzi”, come dice lei, mi hanno davvero reso la vita dura. In Benin è difficile credere che non sapessero quello che stava succedendo a me e alla mia collega. E poi ho mandato loro il manoscritto prima di pubblicarlo, ero disponibile a correggere eventuali errori o a inserire un loro commento, ma mi hanno risposto che era spazzatura, senza dire esattamente cosa contestavano. Ci hanno messo sotto pressione, hanno chiesto che riscrivessi il libro. Noi ovviamente non lo abbiamo accettato.

Avete pubblicato il libro nei paesi africani di cui si parla?
È stato pubblicato in francese e quindi è disponibile per il pubblico africano che parla francese, ma non so quanto è distribuito. Stiamo lavorando all’edizione inglese.Sarebbe importante perché non è solo una riflessione sull’ecologia, ma anche sulle relazioni tra l’occidente e quell’Africa.

Noi europei abbiamo una visione dell’Africa che assomiglia a una via di mezzo fra II Re Leone e La mia Africa. Nonostante ci siano libri come Nella Polvere di Lawrence Osborne e serie come White Lotus che mettono in guardia su una visione semplificata e eurocentrica dei paesi che consideriamo in via di sviluppo e dove andiamo magari in vacanza continuiamo a considerare l’Africa un Eden, un paradiso della natura e degli animali, che però non include l’essere umano che vi abita. È un’analisi troppo pessimistica? Capisco cosa dice e sono totalmente d’accordo.
L’idea che abbiamo dell’Africa è molto disneyana, pensiamo sia un enorme giardino tropicale che va dai deserti del nord alla savana e le foreste del centro e sud. Quasi ci dimentichiamo che è un continente abitato da milioni di esseri umani. Non li vediamo, tendiamo a non considerarli. Come se dovessimo “salvare l’Africa” dai suoi abitanti che “la deturpano” o “non vogliono o non sanno come proteggerla”. Assurdo. E allo stesso tempo ironico perché è l’Europa che ha depredato quel continente. African Parks oggi controlla un’area paragonabile a quella della Gran Bretagna, con il sostegno dei governi locali, dei governi occidentali, dell’Unione Europea e di miliardari filantropi. Ma non spetta a noi decidere come deve essere organizzato e custodito il territorio africano. L’approccio di African Parks, militare e autoreferenziale, è una forma di colonialismo verde.

Qui l’intervista completa.

Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/olivier-van-beemen-cattivi-custodi/

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