27 giugno 2025

Lezioni di nuoto: l’intervista a Cristina Chiuso

L’intervista a Cristina Chiuso a cura di Emanuela Audisio su Il Venerdì di La Repubblica.

Autrice a 51 anni, ci ha pensato un po’.
Diciamo che mi ci hanno fatto pensare. È un tentativo di spiegare il nuoto a chi non l’ha mai fatto. Il benessere e il malessere che procura. L’acqua è benedetta, battezza, ma quella del diluvio universale è maledetta, condanna. È un elemento bivalente. Per chi nuota l’acqua è casa, è amica, per gli altri no, è un territorio ostile. Sono nata a San Donà di Piave, da genitori che non sapevano nuotare, papà dirigente industriale, madre infermiera. Da adulti è più difficile imparare, se non puoi respirare vai nel panico. Ancora oggi in tanti muoiono per annegamento in Italia come negli Stati Uniti, è un problema che va risolto. Agli afroamericani è stato fatto credere che l’acqua non è per loro, motivi razziali impedivano l’accesso alle piscine, da noi chi vive in montagna o in campagna spesso non è capace di galleggiare, anche i nuovi italiani, i figli nati da famiglie immigrate, per motivi culturali, non si avvicinano alle piscine. Questa diffidenza va sconfitta, il nuoto va considerato un salvavita, non solo una disciplina sportiva. Io a tre anni ridevo sott’acqua.

L’acqua sveste.
Sono anche istruttrice. E la cosa assurda è che in tanti appena si rendono conto di non toccare, smettono di saper nuotare. Come è possibile? Torniamo sempre lì, a come vivi l’acqua: può darti libertà o al contrario toglierti il respiro. L’acqua silenzia i rumori esterni, ma amplifica quelli interni, devi avere un equilibrio, altrimenti il problema che hai ti rimbomba nella testa. Io mentre facevo le vasche studiavo, ripetevo le cose.

La riga nera da seguire sul fondo procura nevrosi?
È il tuo orizzonte ma può diventare il tuo limite. Shane Gould, l’australiana dei record, nel ’71-’72 vinse tutto e stabilì tutti i primati nello stile libero. Dopo due stagioni si ritirò: fenomeno a 15 anni, ex a 16. Mantenere le attese è stressante. La salute mentale è sempre più importante, sei giovane, hai difficoltà, ti senti vulnerabile, non puoi gestirti da solo. Prima l’allenatore racchiudeva un po’ tutte le figure: tecnico, secondo padre, consigliere, psicologo, ora ci sono specifiche figure professionali. Ma il vero aiuto è se ti fanno essere una persona migliore e non solo vincere una gara in più.

Il nuoto ha smesso di essere uno sport che ruba l’adolescenza.
Le carriere si sono allungate, è cambiata la metodologia di allenamento, non più tanta quantità, ma qualità. C’è più cura dei particolari. Ricordo la mia sorpresa quando ai Giochi di Barcellona ’92 vidi le americane depilarsi la schiena, mi spiegarono che durante la stagione non era loro permesso, per massimizzare la sensibilità del corpo a contatto con il liquido nelle gare più importanti. L’altra novità è che le atlete non hanno più paura della gravidanza. A cambiare tutto è stata l’americana Dara Torres che a 41 anni da SuperMom di Tessa Grace ai Giochi di Pechino 2008 vinse tre argenti. La prima italiana invece è stata Paola Cavallino che sempre a Pechino, a 31 anni, tornò in azzurro da mamma di Virginia. La svedese Therese Alshammar a quasi 40, anche lei dopo aver partorito, nel 2016 ha partecipato alla sua sesta Olimpiade. Non essere più costrette a dover scegliere tra maternità e nuoto è stata una liberazione.

America e Australia sono grandi potenze natatorie per numeri e strutture, ma l’Italia tiene testa.
Il segreto sta nelle scuole nuoto molto ben strutturate, negli ottimi tecnici, nella nostra provincia che non trascura le piscine – Pellegrini, Pilato, Martinenghi, Paltrinieri, Ceccon vengono da lì – e nei gruppi sportivi militari che permettono agli atleti di avere uno stipendio anche quando smetteranno. L’acqua oggi dà fama e visibilità, Federica fa e ha fatto molto bene all’immagine del nostro sport. In più le nuove generazioni come Benedetta Pilato sanno essere oneste con sé stesse e rivendicano di non essere definite dal risultato della gara. Non puoi essere solo un tempo fatto o mancato.

Il nuoto italiano però è lento nell’integrare.
Vero. Ma con la 18enne velocista Sara Curtis, nata in Italia da mamma nigeriana, sta rimediando. Anche se deve fare di più nel cercare di intercet tare giovani che vengono da famiglie che diffidano dell’acqua. Sono molto curiosa di vedere i progressi di Sara come quelli dell’americana 22enne Gretchen Walsh e anche l’evoluzione di Thomas Ceccon dopo l’esperienza in Australia. Lui il nostro Phelps, i nuovi stimoli gli avranno fatto bene.

Anche lei, come Federica Pellegrini, non nuota in mare.
Sì. Se non vedo il fondo sono a disagio. E niente più piscina, sono allergica al cloro. Ma voglio provare il mare d’inverno, magari a Fregene, è una pratica che inizia ad avere molti appassionati.

Un anno dopo aver smesso di nuotare andò da un analista.
Sì. Ero un po’ in crisi. Non c’era più il cronometro nella mia vita e nemmeno la riga nera da seguire. In più il mio fisico era cambiato e non mi riconoscevo più: da una taglia 46 di giacca ero passata a una 42. Tutta la parte sopra, prima muscolosa, non c’era più. L’analista mi disse: lei ha trascorso tutta la sua vita tenendo la testa sott’acqua. Non so se fosse un rimprovero, avevo cercato di annegare i miei problemi nell’acqua o di risolverli lì? Chissà, nel dubbio ho pagato e non ci sono più tornata. In acqua non si scappa da nulla, prima o poi accanto alla riga vedi la crepa. In quella ci sono le tue ansie e le paure. Ci devi fare i conti altrimenti affondi.

Qui l’intervista completa.

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