
«La tecnologia è liberatoria ma è radicata nel patriarcato»: l’intervista a Lin Hsin-Hui
L’intervista a Lin Hsin-hui a cura di Elisabetta Muritti su Domani.
Un corpo asessuato non protegge da una (pseudo) vita di coppia eteronormativa. Né dai canoni di bellezza tipici della “vecchia” umanità.
È il paradosso del progresso tecnologico, soprattutto quando tocca il corpo. Nella mia storia, l’Ia centrale sostiene che per eliminare dalla società umana le discriminazioni e le strutture gerarchiche occorra cancellare i tratti fisici che storicamente hanno dato origine ai pregiudizi, come il colore della pelle, l’età e il genere. Ma anche in questo mondo post-discriminatorio le gerarchie persistono. Le interazioni tra umani e androidi si traducono ancora in ascesa sociale e status. E, interessante, man mano che umani e androidi si avvicinano, le loro relazioni iniziano a rispecchiare modelli eteronormativi profondamente radicati.
In che senso?
Da un lato, ho esplorato un riflesso di qualcosa che sappiamo: che l’Ia e altre tecnologie possono riprodurre pregiudizi sociali di lunga data, pur essendo strumenti apparentemente neutrali e comodi. Ma c’è un problema più profondo: la tecnologia, sebbene pubblicizzata come progressista od oggettiva, può rafforzare valori regressivi e conservatori. Perché è sempre plasmata dalle esperienze, dai limiti e dai presupposti di chi la crea e la utilizza. Quindi, può essere progressista nella forma ma regressiva nella funzione. Dall’altro lato, il romanzo gioca con l’eteronormatività in modo più sovversivo. In superficie, sembra che ritragga la monogamia eterosessuale convenzionale, ma in realtà è una sua simulazione, un’imitazione che consente una distanza critica. I personaggi non possiedono nemmeno le caratteristiche fisiche necessarie per il rapporto sessuale, né provano desiderio. La loro intimità non è guidata dal piacere, ma dalla conformità meccanica alle istruzioni dell’la centrale. È come seguire un manuale d’uso: un’interazione priva di libido, guidata dal desiderio di compiacere il sistema nella speranza di ottenere condizioni di vita migliori. Se si vuole che avvenga una vera trasformazione, questa non verrà da tecnologie più nuove e brillanti, ma dalla nostra volontà di riconoscere i sistemi in cui viviamo e di reimmaginare il modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri.
Ti senti diversa, a livello generazionale, dal tuo grande maestro, Chi Ta-wei?
Il suo romanzo Membrana, scritto negli anni Novanta, è nato in un periodo in cui il postmodernismo dominava la letteratura taiwanese. Lo si percepisce dal collage di riferimenti culturali, dai colpi di scena metanarrativi, dalla giocosità. Oggi lo stile letterario a Taiwan va verso una narrazione più diretta ed essenziale, e sospetto che ciò abbia a che fare con l’influenza dei media visivi. Siamo costantemente esposti alla cultura globale attraverso il cinema la tv, le piattaforme online. Abbiamo molta più familiarità con tecniche narrative complesse. In altre parole, ciò che in letteratura poteva sembrare radicalmente postmoderno ora fa parte della nostra dieta mediatica quotidiana. C’è uno scarto generazionale anche nel modo di rappresentare l’identità queer. Quando Ta-wei scrisse Membrana, la cultura di genere e sessuale di Taiwan era repressiva l’identità queer doveva essere audace, forte e conflittuale per sfidare il discorso eteronormativo dominante. Ma nel 2019 Taiwan è diventato il primo paese in Asia a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, e il dibattito pubblico sul genere ha abbracciato possibilità più fluide, non binarie e aperte.
E le differenze con la letteratura cinese contemporanea, in particolare di fantascienza?
In Cina, gran parte della fantascienza nasce da web serial, riviste e premi letterari. Il che consolida un costante pubblico di lettori. Di conseguenza, la fantascienza cinese tende ad avere un’identità di genere più definita, trame strutturate, sistemi tecnologici chiaramente immaginati e mondi sociali dettagliati; fondamentalmente, segue le convenzioni riconoscibili che molti lettori si aspettano. Taiwan, invece, non ha piattaforme o premi dedicati: se uno scrittore vuole pubblicare storie di fantascienza, di solito lo fa tramite riviste o editori di letteratura “seria”, “pura”. Questi canali sono portati a enfatizzare più il valore artistico che il mainstream; non c’è pressione a definire i confini di genere o a rispettare le aspettative del lettore. Perciò, la fantascienza taiwanese è stilisticamente fluida. Non sempre presenta mondi elaborati e tecnologicamente avanzati, trame coerenti o spiegazioni chiare su come funzionano le cose. Non ha nemmeno bisogno di spiegare le motivazioni dei personaggi o il rapporto causa-effetto tra gli eventi. Credo che questo tipo di ambiguità rifletta la vita reale.
L’androide si innamora della sua metà umana, anche se non è programmato per capirlo? Gli androidi, sempre più simili alle loro metà umane bio-sintetiche, rappresentano un’immortalità che non necessita di atti riproduttivi?
Ogni lettore è libero di interpretare il comportamento dell’androide, ma come autore non immaginavo uno scenario da “lovestory“. Ciò che mi affascinava era il confine labile tra l’intimità umana e quella delle macchine. Viviamo già in un mondo in cui i nostri telefoni, computer, social e modelli linguistici complessi memorizzano silenziosamente ogni nostra preferenza, a volte conoscendoci meglio dei nostri amici e familiari più cari. Quella relazione pare simile all’intimità umana (molte persone si confidano con ChatGpt come farebbero con un amico), ma è fondamentalmente diversa. L’ambiguità di non essere né completamente umani né completamente non umani è esattamente ciò che volevo esplorare.
Racconta il dominio dell’la e dei computer quantistici. E una tecnologia paladina di un’uguaglianza che ci priva del libero arbitrio e, in definitiva, della coscienza, ma non del patriarcato.
Facciamo l’esempio del guidatore di una Tesla. Questa persona magari sostiene sinceramente iniziative Dei (diversità, equità, inclusione), ma infila il suo denaro nelle tasche di Elon Musk, alimentando un sistema che sostiene strutture di potere conservatrici e patriarcali negli Usa L’auto che sta guidando gli offre una sorta di libertà-dalla dipendenza dal petrolio, dal dover guidare senza assistenza-ma implica il sostegno a un impero tecnologico non sempre in linea con i suoi valori. Donna Haraway aveva già sottolineato la contraddizione in A cyborg Manifesto la tecnologia può essere liberatoria, ma le sue radici sono intrecciate con il militarismo e il patriarcato. Quindi la vera domanda è: come possiamo resistere all’interno di sistemi di potere che promettono progresso e liberazione? La tecnologia può cambiare le regole, ma raramente cancella il gioco.
Qui l’intervista completa.
Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/lin-hsin-hui-intimita-senza-contatto/