12 giugno 2025

Intelligenza artificiale e autoritarismi digitali. Il “mondo senza contatto”: l’intervista a Lin Hsin-Hui

L’intervista a Lin Hsin-hui a cura di Lorenzo Lamperti su La Stampa.

Nel suo romanzo una grande intelligenza artificiale centralizzata conclude che il contatto fisico è causa del turbamento emotivo. E le emozioni sono un virus che si trasmette attraverso quel contatto. Quanto c’è di reale di tutto questo nel mondo di oggi?
Ho iniziato a scrivere il mio romanzo Intimità senza contatto prima della pandemia, con l’idea di esplorare l’ambiguità tra l’umano e il non umano. Ma la pandemia mi ha portato a riflettere su che cosa significhi il contatto fisico. Abbiamo neuroni che elaborano solo le informazioni legate al tatto, ma la quarantena ci ha privato di qualsiasi forma di contatto. Non solo quello intimo, ma anche quello sociale di cui magari un tempo non ci accorgevamo, come una stretta di mano o una persona che ti sfiora sull’autobus. Sono le informazioni tattili che ci fanno capire, o meglio sentire, che siamo in un ambiente sociale composto da altri esseri umani. E questo ci fa sentire al sicuro. La pandemia ci ha dato un senso di insicurezza che è difficile da cancellare. Da lì ho cominciato a pensare: come sarebbe il mondo se qualsiasi forma di contatto fosse severamente vietata in modo permanente?

L’intelligenza artificiale è solo qualcosa di negativo?
No, ma la cosa che mi preoccupa è che stiamo esternalizzando tutto. I nostri ricordi, le date importanti, i battiti del cuore, persino le nostre caratteristiche fisiche. Tutto è esternalizzato e delegato a dispositivi elettronici sempre più avanzati attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma se esternalizziamo tutto ciò che siamo in un dispositivo, che cosa resta di noi? Nel libro estremizzo il concetto, con esseri umani che esternalizzano la loro identità, la loro coscienza, e alla fine anche il libero arbitrio alle macchine. Nella realtà c’è un processo già in corso che ritengo diverso non a livello qualitativo, non quantitativo. Cioè la questione è quanto velocemente stiamo esternalizzando parti della nostra umanità, non se lo stiamo facendo.

Oltre all’ascesa dell’intelligenza artificiale, negli ultimi anni il mondo ha assistito al ritorno di diverse forme di autoritarismo. Non teme che queste nuove tecnologie possano erodere il sistema democratico, tema quantomai attuale a Taiwan?
Senz’altro. Nel mio libro uso voci artificiali per dire che il libero arbitrio è un’illusione creata dagli esseri umani. Se è davvero così, allora tutto quello che facciamo è determinato e siamo controllati da qualcun altro, come personaggi di un videogioco. Le nuove tecnologie, se non regolate, possono erodere il libero arbitrio e favorire l’ascesa di un autoritarismo digitale anche all’interno delle democrazie. E non credo che la democrazia possa coesistere con l’assenza di libero arbitrio. Alcune nuove tecnologie vengono già utilizzate per smantellare forme di associazionismo, in Intimità senza contatto tutto questo è ancora più estremo, visto che il controllo arriva all’interno della famiglia. Anche la madre che segue rigidamente la politica del zero contatto e non abbraccia la figlia è un’estensione del potere centrale.

Social e algoritmi stanno modellando un mondo in cui è sempre più difficile accettare il fallimento o le opinioni diverse dalle proprie. Si va solo alla ricerca di conferme e così si divide più facilmente il bianco e nero. Teme che questo aumenti i pericoli di un utilizzo “disumano” della tecnologia?
La società è sempre più polarizzata, anche qui a Taiwan. Se si esprime un pensiero diverso, si viene subito associati al campo opposto. Ma nel pensiero umano ci sono tante sfumature, non può essere tutto un codice binario. Nel mio romanzo la protagonista si trova in mezzo tra la madre che aderisce in modo estremo alla politica imposta dall’intelligenza artificiale e i compagni di classe che promuovono una resistenza estrema. Lei fa parte della maggioranza silenziosa che non sa come reagire, ha legami con entrambi i lati ma non ha gli strumenti per resistere alla pressione di conformarsi. L’assenza di spazi per discutere decisioni calate dall’alto erodono l’ambiguità, che è in realtà il cardine delle nostre esistenze.

L’ambiguità viene rimossa anche dall’intimità, possibile solo con un unico androide assegnato dall’alto e con cui si prova un piacere che sfocia in realtà in una sincronizzazione meccanica.
Sì, è come se gli esseri umani diventassero dispositivi che possono connettersi solo tra di loro. In questo c’è anche una satira sulla monogamia e su quante cose proiettiamo nel concetto di amore: romanticismo, passione, cura, amicizia. Troppo.

Nel suo lavoro riflette molto sul concetto di identità. Crede che questo abbia un legame con lo status di Taiwan e con il timore di una possibile “unificazione” con la Cina continentale?
Non in modo consapevole, ma rileggendolo penso che il senso di incertezza dei miei protagonisti sia proprio quello che I taiwanesi provano ogni giorno. La nostra identità è ancora in fase di costruzione e non un’etichetta fissa, ma un ombrello sotto cui cose diverse possono coesistere. Per questo Taiwan è queer, perché non rientra in nessuna delle regole esistenti di definizione dell’identità.

Qui l’intervista completa.

Vai al libro: https://www.addeditore.it/catalogo/lin-hsin-hui-intimita-senza-contatto/

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