15 gennaio 2016

L’Indonesia non va verso il fondamentalismo

di Elizabeth Pisani – autrice di Indonesia ecc. Viaggio nella nazione improbabile e visiting fellow al Royal Netherlands Institute of Southeast Asian and Caribbean Studies.

L’Isis non gode di un’ondata di sostegno popolare in Indonesia.

Giovedì un gruppetto di giovani armati di pistole ed esplosivo ha attaccato una caffetteria Starbucks e un posto di polizia a Jakarta, la capitale indonesiana. Ora i media internazionali si domandano se il Paese a maggioranza musulmana più popoloso del mondo corra il rischio di abbandonare la moderazione per andare verso il fondamentalismo islamico.

Coloro che temono un’evoluzione di questo tipo si appigliano ad altri segnali della crescita dell’estremismo in una nazione che ha fatto della libertà di culto un principio costituzionale. Si riferiscono ai gruppi islamici radicali che attaccano regolarmente chiese e locali notturni e contestano, fino a ottenerne la sospensione, i concerti di cantanti come Lady Gaga. Evidenziano che, in tutto il Paese, i politici locali hanno approvato norme che impongono il codice di abbigliamento islamico, vietano alle donne di andare in moto a cavalcioni e proibiscono la vendita di alcolici nei negozi. Inoltre, alcuni osservatori temono che l’Isis sfrutti l’ossessione nazionale per i social media per diffondere il suo fondamentalismo velenoso anche qui.

Un’analisi più approfondita dei fatti metterebbe a tacere questi timori. L’Isis ha rivendicato gli attentati di Jakarta, dichiarando che l’obiettivo erano gli stranieri e le forze di sicurezza che li proteggono. Lo Stato islamico, però, non gode di un’ondata di sostegno popolare in Indonesia. Meno di due indonesiani su un milione combattono in Siria, contro i dodici britannici e australiani e i quarantatré belgi. Desta qualche preoccupazione il ritorno in patria di combattenti attivi in Siria, meglio addestrati e dotati di nuove capacità organizzative, ma per ora non ci sono segnali in tal senso.

Gli attacchi di giovedì mattina non lasciano pensare all’opera di una macchina del terrore ben collaudata. Cinque attentatori sono morti, tra i civili ci sono state due vittime. I combattenti indonesiani arruolati in Siria sembrano divisi: secondo la polizia locale, la mente degli attentati di Jakarta sarebbe Bahrun Naim, un ex detenuto che si troverebbe in Siria.

I social media, poi, possono essere uno strumento per promuovere tanto la tolleranza quanto il radicalismo. A poche ore dagli attacchi, Twitter era inondato di inviti a partecipare a un raduno di massa, nella giornata di venerdì, sul luogo delle esplosioni. Dress code: bianco. Hashtag: #KamiTidakTakut: #WeAreNotAfraid.

In collaborazione con il politologo Michael Buehler, di recente ho esaminato alcuni dei segnali dell’“islamizzazione” in Indonesia, nello specifico oltre 400 norme ispirate alla sharia approvate dai governi locali nel corso dei primi dieci anni di decentramento politico. Abbiamo scoperto tre cose. Primo, queste norme si concentrano in determinate aree, dove esiste una forte tradizione di ribellione islamica, ma non stanno espandendosi inesorabilmente in tutto il Paese.

Secondo, associando l’approvazione delle norme al ciclo elettorale, abbiamo trovato segni evidenti di opportunismo politico. Le leggi che conferiscono ai politici un’aura di santità vengono approvate durante le fasi di campagna elettorale, mentre in genere quelle politicamente impopolari ma redditizie (per l’esempio, l’imposizione della zakat, l’elemosina rituale) vengono emanate da chi non può più ricandidarsi. La “strisciante avanzata” della sharia è quindi determinata dalla strategia politica, non dalla convinzione religiosa.

Terzo, abbiamo notato che questo “fondamentalismo” non piace molto all’elettorato. Secondo i nostri dati, i politici che approvano leggi di questo genere durante il primo mandato hanno meno probabilità di essere rieletti rispetto a chi non lo fa.

In Indonesia, i musulmani sunniti non sono una minoranza perseguitata. Nessuna potenza straniera interferisce nella politica interna, né tanto meno bombarda il Paese. È vero che una piccola percentuale dei giovani indonesiani poco istruiti e disperatamente disoccupati è attirata dalla propaganda del martirio eroico dell’Isis. Il loro malcontento, però, è dovuto alla marginalizzazione economica, non religiosa o politica. L’Indonesia è una democrazia vivace e gli indonesiani vanno fieri della loro diversità e tolleranza. Gli attentati di un gruppetto di fanatici non sono il segno che un paese sta andando verso il fondamentalismo, né a Jakarta né a Parigi.


Fonte: FT – reproduced as fair use

Traduzione a cura di Maristella Notaristefano

 

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