12 gennaio 2018

Don Milani usa il peperoncino

-di Andrea Schiavon-

Questo articolo è tratto dal numero 116 di Liber, che si può acquistare qui sia in formato cartaceo sia digitale.

Ora che gli anniversari sono passati, cosa resta di don Milani? Cosa rimane dopo centinaia di articoli, servizi sui telegiornali e post rilanciati sui social?
La risposta sta negli sguardi di chi legge Lettera a una professoressa per la prima volta e di chi, rileggendola, vi trova nuovi spunti. Le celebrazioni sono un esercizio di memoria che ha senso nel momento in cui si proiettano nel futuro.
Il ricordo diventa così qualcosa di vivo, non uno sguardo nostalgico sul passato. Da questa idea è nato il progetto di riportare Lettera a una professoressa nelle scuole, un’esperienza che sta alla base di Don Milani: parole per timidi e disobbedienti.
Un viaggio tra le pagine scritte mezzo secolo fa per cercare e trovare quelle che esprimono sentimenti e stati d’animo sempre attuali.
Di scuola in scuola, di classe in classe, grazie a professoresse curiose e appassionate, sono partito da quelle frasi elaborate a Barbiana per aiutare i ragazzi a parlare di sé. Da una lettera a tante lettere, esplorando il potere delle parole e della scrittura collettiva.
Grafomani, quando si tratta di digitare messaggi su uno smartphone, i ragazzi scoprono che attraverso una lettera si può andare oltre il botta e risposta di una chat.
È un processo che richiede tempo, ma non è meno urgente della messaggistica istantanea. I monosillabi diventano parole. Dalle parole si passa alle frasi e da quelle ad argomentazioni più articolate. Muti e incazzati, così vengono spesso dipinti gli adolescenti, dai loro stessi genitori, ma a me piace vederli piuttosto come timidi e disobbedienti. Stati d’animo e modi di essere che tutti, prima o poi, attraversiamo nel corso della nostra vita. A volte restandoci incastrati. Altre volte rifugiandoci in un conformismo di facciata. Raramente trovando le parole per esprimere la solitudine e il dissenso che viviamo dentro di noi.

Cerco tra gli appunti, presi durante e dopo alcuni degli incontri con i ragazzi in cui abbiamo parlato insieme di don Milani e di Lettera a una professoressa e questo è quello che ne esce: «Casacca bianca, pantaloni a quadretti, grembiule e una collezione di scottature sulle dita e sui palmi delle mani. In cucina i ragazzi dell’Enaip di Padova sono a loro agio, qui imparano a muoversi con disinvoltura tra i fornelli come nelle sale dei ristoranti e si emozionano quando cito Carlo Cracco. Lui stesso mi ha raccontato i suoi viaggi da adolescente in motorino, per frequentare una scuola non molto diversa da questa, a poche decine di chilometri da dove vivono le facce che mi trovo di fronte. Parto dal giudice più severo di MasterChef per spiegare il potenziale di una parola. I ragazzi si vergognerebbero a presentargli una minestra sciapa, ma non si fanno problemi a scrivere temi insipidi, che non sanno di nulla. “Pescare nel vocabolario è come mettere le dita in un vasetto di spezie” dico. “Don Milani usa il peperoncino” mi replica Dima, che per iscriversi a questa scuola ha dimostrato ai suoi genitori di avere la testa dura, insistendo fino a che non hanno accettato di trasferirlo dall’istituto tecnico dove aveva cominciato le superiori. “Esatto – gli rispondo – e sa dosarlo, perché altrimenti un piatto infarcito di jalapeno diventa immangiabile”.
Cucina, talent televisivi, moda e don Milani: mi sembra di commettere un sacrilegio solo a porli uno accanto all’altro. La vita austera e rigorosa del priore impone rispetto, anche nei modi che si scelgono per riproporne il pensiero. Mi preoccupa il rischio di banalizzarlo, rosolandolo tra i fuochi e ritagliandolo come se le sue pagine fossero fogli di cartamodello. Ma mi spaventa ancor di più il pericolo di lasciarmi intimorire così tanto da un prete in odor di santità fino a costruirne un’immaginetta agiografica.
Questo neppure don Milani lo sopporterebbe, lui che metteva in guardia dal vizio di considerare “soavemente profumate le merde dei geni e dei santi”. Sapori, colori, odori: la scrittura di don Milani smuove i sensi. Persino il tatto, così ruvido da scarnificare l’interlocutore prescelto.
Perché le parole che ti conducono al punto senza lasciare il segno, sono parole gettate al vento.

Andrea Schiavon è nato a Padova nel 1974 ed è un giornalista di “Tuttosport”. Laureato in giurisprudenza, ha iniziato a scrivere da freelance per “Il Mattino di Padova”, ha lavorato nelle redazioni della “Gazzetta dello Sport”, della “Stampa” e ha collaborato con il mensile “Correre”.
Con il libro Cinque cerchi e una stella ha vinto il Premio Bancarella Sport 2013.
Nel 2017 ha pubblicato Don Milani. Parole per timidi e disobbedienti, nella collana Incendi di add editore.

 

Condividi