1 giugno 2020

Aurélien Barrau ospite a #SalToExtra

 

Quando è cominciato il lockdown, abbiamo tutti visto immagini in cui le lepri si avventuravano nel centro di Milano, e la riduzione delle emissioni sembrava una realtà quasi in tutti i paesi. Veniva da pensare che questa crisi mondiale avrebbe portato almeno una cosa bella: una nuova consapevolezza nei confronti della crisi climatica. Ma è davvero così? Tornando alla normalità, ci ricorderemo del nostro Pianeta? Proprio su questi temi, Aurélien Barrau autore di Ora. La più grande sfida della storia dell’umanità è stato ospite a #SalToExtra, l’edizione speciale del Salone Internazionale del libro di Torino che si è svolta online dal 14 al 17 maggio.

L’astrofisico francese ha risposto a una domanda molto attuale: quale potrebbe essere la parola per descrivere il mondo di domani, il mondo dopo la crisi del coronavirus? 

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È vero che speriamo che una società diversa e migliore possa emergere, sarebbe davvero indispensabile alla possibilità di un futuro ragionevole. È per questo che il 6 maggio abbiamo pubblicato su «Le Monde» un piccolo testo, che ho scritto con la mia amica Juliette Binoche e che è stato firmato da più di 200 personalità, tra cui una ventina di premi Nobel (una cosa piuttosto inusuale), e artisti come Robert De Niro, Madonna o Olafur Eliasson, al fine di chiedere un cambiamento sistemico radicale perché non è più possibile limitarsi a piccoli aggiustamenti e perché deve essere chiaro a tutti che stiamo andando dritti verso una meta-crisi ben più grave di quella del Covid 19 e, soprattutto, radicalmente irreversibile. 

Ma c’è una speranza, per questo ci stiamo mobilitando, per questo si scrivono editoriali ed è per questo che, soprattutto, si cerca di agire. Dobbiamo però riconoscere che, di fronte alla speranza, ci sono forze straordinariamente potenti che fanno di tutto per farci tornare il più presto possibile al peggio, sotto cieli in cui si muovono 100.000 aerei al giorno, una cosa letteralmente irresponsabile, e questi banditi cercano comunque di approfittarne per ridiscutere le norme ambientali, che erano già troppo deboli, quasi ridicole, perché adesso sappiamo che la riduzione di CO2 che si verificherà nel 2020 a causa della crisi generata dal coronavirus non sarebbe comunque sufficiente se si verificasse ogni anno per rimanere sotto 1,5°C. C’è dunque un problema globale per quanto riguarda il riscaldamento climatico, ma più in generale, per quanto riguarda il nostro modo di abitare lo spazio e di trattare gli altri viventi con cui co-abitiamo su questo pianeta.

Per tornare alla domanda, direi che la parola per il mondo di domani è l’assenza di un mondo,  qualcosa che il mio amico filosofo Jean-Luc Nancy ha già teorizzato tempo fa, perché mundus in latino, cosmos in greco, fa riferimento a un’idea di convenienza ragionevole, di un’armonia, qualcosa che potremmo definire condiviso su scala globale. Credo che questo sia già stato perso. L’abbiamo perso per il peggio, perché vuol dire che certo si verificheranno delle catastrofi, e non è un pensiero apocalittico, è l’analisi razionale, fattuale, di ciò che stiamo per far emergere, e d’altronde in qualche decennio circa il 60% della popolazione di animali selvaggi è già morto per nostri errori, ma questo, quest’assenza del mondo, questa perdita del mondo, questa morte del mondo, significa anche che ci sarà del meraviglioso, del magico, forse del miracoloso, su scala locale.

Quando parlo di morte del mondo non sto dicendo che tutto scomparirà, è chiaro che non è così, sarebbe grottesco, sappiamo che non sarà così. Ma significa che questa perdita di un meta-livello, che sarebbe comune e condiviso da tutti, potrebbe al contempo aprire la possibilità filosofica più importante: un reincantamento del qui, dell’ora, del locale. Insomma, il cosmos oggi è forse diventato un microcosmo, e questo credo dovrebbe farci pensare.

Grazie.

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