30 aprile 2015

Affrontare le paure con cuore guerriero

– di Pasquale Coccia

Intervista a Daniele Bolelli sul libro Per un cuore da guerriero

 

Perché hai scritto questo libro?
Ho praticato arti marziali per oltre vent’anni. Per un cuore guerriero è la sintesi del mio approccio filosofico alla pratica marziale.

Che cosa significa avere un cuore guerriero?
Vuol dire che la vita picchia duro in molti modi. Invecchiamento, malattia, morte, porte chiuse in faccia che schiacciano i nostri sogni, la solitudine, ci sono centinaia di modi in cui la vita può far male. Un cuore guerriero vuol dire trovare un modo di affrontare la vita senza che questa ci trasformi in una vittima . Vuol dire avere un cuore sensibile, senza cui l’esistenza è ben poco interessante, un carattere guerriero che sappia proteggere tale cuore: l’aspetto guerriero è ciò che permette alla sensibilità di non trasformarsi in una debolezza.

Scrivi che «l’esistenza di ogni giorno è il vero campo di battaglia». Che cosa vuol dire?
Le arti marziali alla fine non sono poi così importanti. Dopo tutto, occupano solo qualche ora a settimana e nulla di più. Ciò che è davvero importante è il resto della nostra vita. È importante il modo in cui ci rapportiamo agli altri, in cui ci guardiamo allo specchio, in cui affrontiamo la realtà di ogni momento. Le arti marziali sono importanti semplicemente nella misura in cui ci aiutano a sviluppare quelle qualità che ci possono rendere persone migliori nella vita di tutti i giorni. Se la pratica marziale è fine a se stessa, non è che un hobby. Se invece, è un mezzo per forgiare una personalità più forte e bilanciata, allora sì che sono interessanti.

Come si vince la paura?
Affrontandola, ma gradualmente. Affrontare paure troppo potenti senza preparazione può essere controproducente, affrontare paure che ci turbino ma non al punto da paralizzarci ci rinforza. La prossima volta potremo affrontarne di più grandi. E così via. L’idea che possiamo controllare le cose aiuta a rilassarsi, non perché le paure non siano motivate, anzi, ci sono mille cose delle quali è più che legittimo avere paura, ma l’avere paura non ci aiuta. Tutti invecchieremo, ci ammaleremo e moriremo. La paura esiste solo finché hai speranza di evitare un certo destino. La morte è una garanzia per tutti noi, una volta che accetti la morte, tutte le altre paure sono poca cosa.

Nel libro sostieni che nel mondo degli artisti marziali vi sono litigi e divisioni. Perché?
Ogni volta che metti due esseri umani nella stessa stanza, ti trovi a dover avere a che fare con tre opinioni diverse. È nella natura della nostra specie. Siamo litigiosi e pronti ad arrabbiarci riguardo alle più minuscole differenze di opinioni. Le arti marziali sono un microcosmo come ogni altro campo a cui gli esseri umani si interessino, che si tratti di religione, di politica, di vinicultura o di arti marziali alla fine all’interno di ogni campo trovi sempre le diverse scuole di pensiero che litigano riguardo al loro modo di percepire le cose. Le divisioni di opinioni tra gli artisti marziali non sono minimamente differenti da quelle che si vedono in tutti gli altri campi.

L’unione delle arti marziali fa la forza?
Nel dedicarsi ad un unico stile di arti marziali, l’individuo si sacrifica sull’altare dell’ortodossia di uno stile. Prendere il meglio da stili diversi, invece, e creare il proprio mix personale è un modo per rinforzare l’individualità . Ognuno dei diversi stili di arti marziali ha i suoi punti forti e i suoi punti deboli. Studiarne più d’uno è un mezzo per non rimanere intrappolati dagli inevitabili limiti che caratterizzano ogni stile. La versatilità è un talento essenziale nelle arti marziali, così come in ogni altro campo della vita.

Spade, bastoni, calci e pugni non sono un invito alla violenza?
La violenza repressa è la più pericolosa. Fare finta di non avere istinti violenti vuol dire che sicuramente emergeranno in maniera distruttiva e perversa, magari non necessariamente sotto la forma di violenza fisica, ma
come astio, cinismo, aggressività, negatività, scatti nervosi, mancanza di amore. Avere uno spazio rituale nel quale
confrontarsi con l’aggressività propria e altrui è un modo catartico per esorcizzarla. Paradossalmente, molta gente che dedica una gran quantità di tempo ad allenarsi a combattere è a volte la più tranquilla e pacifica nella vita di i giorni.

Perché nell’ultimo periodo hai scelto di combattere nella «gabbia»?
Per natura sono un tipo molto tranquillo. Fin da bambino ero molto sensibile, passavo gran parte del tempo a leggere, e mi dilettavo in altri passatempi più intellettuali. La mia personalità era squilibrata. Non conoscevo cosa volesse dire vivere in un corpo dotato di notevole forza fisica. Il conflitto, fisico e non, mi ha sempre spaventato, combattere per me è un modo di affrontare i limiti del mio carattere e liberarmi delle mie paure.

Che cosa si prova a passare dalle aule universitarie alla «gabbia»?
Le doti intellettuali diventano se non si accompagnano all’azione, così come l’azione è fine a se stessa se non si accompagna ad una mente curiosa e vivace. Nelle aule universitarie stavo cominciando ad accumulare troppa polvere. Avevo di bisogno di scrollarla via.

Sono pochissime le figure femminili che citi nel libro. Le marziali sono solo al maschile?
Secoli di culture patriarcali hanno reso molto difficile alle donne mettersi in contatto con la forza. Il conflitto fisico è stato un monopolio maschile in molte aree geografiche e in molte culture. Spero che questa tendenza cambi, proprio perché le arti marziali possono servire da antidoto contro l’oppressione a cui le donne sono state soggetto storicamente. Purtroppo ancora oggi, la maggior parte dei praticanti di arti marziali sono uomini, molte donne sono intimidite dall’entrare in un ambiente che è così saturo di testosterone, e tante altre temono che la pratica marziale possa togliere loro femminilità. Nulla è più lontano dal vero, ma gli stereotipi sono difficili a morire.

Arti marziali e sport da combattimento hanno inciso sulla tua scrittura?
Mi hanno dato una sana dose di pragmatismo, che serve per equilibrare la mia natura idealista. Mi hanno aiutato ad unire le grandi visioni romantiche ad una dimensione terrena e concreta. Una cosa che amo degli sport da combattimento è che rendono complicato mentire a se stessi visto che offrono risultati insindacabili. Questo mi ha influenzato rendendo il mio stile di scrittura più bilanciato, come se qualcuno avesse mescolato in laboratorio il Dna del Dalai Lama con quello di Eminem. Leggere il Dalai Lama è interessante, così pure Eminem. Ma vuoi mettere leggere un mix di entrambi?

L’intervista è tratta dall’articolo “Affrontare le paure con cuore guerriero e mix di arti marziali”, Alias – Il Manifesto, 20/07/2013

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