17 dicembre 2018

La vita altrove, storie dall’Asia: Valentina Mosca e Giacomo Catanoso / Zelia Zbogar

-di Ilaria Benini-

La vita altrove è una rubrica in cui andiamo alla scoperta delle storie di giovani italiani che hanno scelto di vivere in Asia – per un periodo o in pianta stabile –, alla ricerca di opportunità e felicità.

Abbiamo creato questa rubrica per costruire una rete ispirata dal nostro progetto editoriale Asia, che propone storie e saggi per avvicinarsi a regioni del mondo che stanno vivendo una trasformazione accelerata e travolgente.
Nuove aperture e maggiore libertà di espressione innescano opportunità di condivisione e scoperta: con le nostre pubblicazioni e iniziative intercettiamo l’energia in circolo nel mondo, attirando in Italia l’aria dinamica che si respira in paesi poco conosciuti, lasciandoci ispirare dalle strategie umane individuali e collettive che danno vita ai contesti asiatici.

Pensiamo che ogni vita possa essere fonte d’ispirazione creativa, una delle innumerevoli risposte alla curiosità per lo sconosciuto.
Grazie alla disponibilità di chi parteciperà alla nostra rubrica vogliamo offrire un modo vivo di esplorare l’Asia, una parte del nostro mondo.
C’è molto da scoprire, oltre le bacchette, le spiagge tropicali e le statuette di Buddha.

L’immagine di copertina è un’illustrazione originale di Marta Giunipero, studentessa al secondo anno di IED a Torino.

Nome

Giacomo e Valentina

Età

Giacomo: 39
Valentina: 32

Dove vivi?

Giacomo: Da quasi due anni vivo a Singapore, insieme a Valentina.

Come ci sei arrivat*?

Giacomo: Nell’autunno del 2016 l’azienda per la quale lavoravo (e tuttora lavoro), mi chiese la disponibilità ad un trasferimento temporaneo (sei mesi) a Singapore.
Terminati i sei mesi mi è stata offerta la possibilità di restare e abbiamo deciso di accettare.
Valentina: Quando a Giacomo hanno dato l’opportunità di lavorare per sei mesi a Singapore, non ho avuto dubbi: sarei andata anche io. Così, ho preso un periodo di aspettativa dal lavoro e siamo andati a Singapore assieme.

Cosa ti ha fatto restare?

Giacomo: Principalmente ho deciso di rimanere dopo il primo periodo per 3 motivi:
Lavoro. Nel mio nuovo ruolo ho avuto modo di sviluppare nuove competenze professionali e di approfondire considerevolmente le mie conoscenze.
Dal punto dei vista dei media, il SEA (South East Asia) è un’area estremamente vivace e Singapore è un ambiente ideale per osservare e misurare nuovi comportamenti di consumo.
Qualità della vita. A Singapore si vive bene. Inoltre, la sua posizione la rende un punto di partenza unico per viaggi brevi e meno brevi (Malaysia, Indonesia, Vietnam, Thailandia, Cambogia).
Discomfort zone. Vivendo nel melting-pot prevalentemente asiatico di Singapore e viaggiando nei paesi che la circondano, mi sono reso conto di quanto poco sappiamo della storia e dei costumi di un intero continente (quattro miliardi e mezzo di persone).
Essere catapultati letteralmente dall’altra parte del mondo può creare all’inizio una sensazione di disagio, ma superata questa fase, l’arricchimento personale è incredibile.
Valentina: Da sempre ho avuto una fascinazione per l’Asia. Una volta trasferitami a Singapore la fascinazione è diventata una vera e propria passione.
Mi piace vivere in questa parte del mondo, mi piace cogliere le piccole differenze quotidiane, che, anche una città cosmopolita come Singapore, può offrire.
Anche dal punto di vista lavorativo, ho la fortuna di avere trovato un lavoro che mi piace molto.

Cos’è per te l’Asia?

Giacomo: Per quanto abbiamo cercato di viaggiare il più possibile negli ultimi due anni, ancora non possiamo dire di avere visitato l’Asia.
Bisogna anche considerare che è il continente più esteso e decisamente il più popolato del mondo (4 volte più grande dell’Europa).
Per rispondere alla domanda, posso dire cosa non è l’Asia – almeno dalla mia esperienza.
– L’Asia non è omogenea. Dal punto di vista climatico, storico, linguistico, religioso, culinario, culturale, l’Asia è un territorio incredibilmente vario e sfaccettato.
La nostra naturale tendenza a semplificare e classificare non rende giustizia ad un continente così ricco di diversità.
– L’Asia non imita (né invidia) l’Europa. L’Asia sta guidando lo sviluppo tecnologico (e creativo) in molti settori e ha un immenso mercato interno che genera una domanda di beni e servizi diversi da quelli cui siamo abituati.
Anche in questo caso, può essere un colpo basso al nostro narcisismo Eurocentrico, ma alcune supposte certezze che spesso diamo per scontate (la bontà dei formaggi francesi o dei vini italiani) non rappresentano un valore assoluto per gli asiatici.
– Infine la cosa più importante: l’Asia non è lontana. Dall’Italia, basta prendere un volo (con scalo o senza) e in mezza giornata si arriva più o meno dappertutto.
E ne vale la pena.
Valentina: Concordo con quanto ha detto Giacomo. Aggiungo che l’Asia per me rappresenta il futuro. Una delle cose che amo della mia vita qui è che si percepisce cambiamento, innovazione. Non solo a Singapore, ma anche nei Paesi del Sudest Asiatico che abbiamo visitato. Ci ritroviamo spesso a pensare: «Chissà come sarà questo posto tra 10 anni».

Ci racconti un fatto quotidiano simbolico della tua vita lì?

Giacomo: Febbraio 2018. Finisce l’anno del Gallo e inizia l’anno del Cane.
I miei colleghi per il Chinese New Year organizzano un pranzo durante il quale partecipo al rito del “Lo Hei” (detto anche “Proserity Toss”).
Si tratta di un rito creato negli anni ’60 dalle comunità Cinesi presenti in Malaysia, Indonesia e Singapore.
Viene predisposto un grande piatto sul quale vengono appoggiati uno per volta e senza mescolarli: daikon, carote, zenzero, peperoni, noccioline, sesamo, “patatine di gambero”, pepe, peperoncino, lime, olio, salmone crudo e spezie varie.
Tutti i commensali, seduto intorno ad un tavolo rotondo, sono invitati a mescolare gli ingredienti. Importantissimo è raccogliere il cibo con le bacchette, alzarle più in alto possibile (ad altezza maggiore corrisponderà maggiore fortuna nell’anno nuovo) e poi farlo ricadere sul piatto.
È un bellissimo momento di condivisione.
Lo cito come fatto quotidiano e simbolico perché accade frequentemente di essere testimoni (anche attivi) di piccoli riti sociali di questo tipo.
E quasi sempre succede a tavola.
Valentina: Come dice Giacomo, la quotidianità è spesso fatta di momenti di condivisione e di scambio interculturale. Ogni giorno, tra colleghi e clienti, mi trovo ad interagire con persone che provengono da almeno 7 Paesi asiatici diversi, e ogni giorno mi stupisco di come le differenze e le caratteristiche di ognuno vengano incorporate nel quotidiano, di come la diversità sia parte integrante della società.

Di cosa ti occupi?

Giacomo: Ricerche di mercato nel settore dei media. In sintesi: raccolta, analisi e commercializzazione dei dati di esposizione a contenuti Video su diverse piattaforme (TV, Digital).
Valentina: Ricerche di mercato, ma non nella stessa azienda in cui lavora Giacomo!
Mi occupo di misurare l’efficacia della pubblicità, di e aiutare i brand a crescere.

Nome

Zelia

Età

32

Dove vivi?

Adesso tra Torino e Roma. Ho vissuto 6 mesi a Dalian (大连), Liaoning (辽宁) in Cina, una mega città del nord-est dove l’inverno dura da ottobre a maggio e la prima cosa che ti viene offerta quando entri in un posto, anche al supermercato, è un bicchiere di acqua calda.

Come ci sei arrivata?

Ho frequentato un corso semestrale di lingua alla Liaoning Normal University di Dalian (辽宁师范大学). Quando sono arrivata, la mia Nainai (奶奶), letteralmente nonna, in realtà anziana padrona di casa, ha detto che le ricordavo qualcuno che camminava sul ghiaccio. In effetti, ero partita senza tanti riferimenti e non conoscevo ancora il cinese.

Cos’è stata per te la Cina?

Per me la scoperta della Cina coincide con la scoperta del cinema cinese. Vivere in Cina ti sfinisce e ti riempie di energia a fasi alterne. È un paese che si contraddice di continuo, che contiene anime, lingue ed epoche diverse. E il cinema cinese mi ha aiutata a tradurre e dare forma a tutto questo presente.

Ci racconti un fatto quotidiano simbolico di quella che è stata la tua vita lì?

Sono a Lanzhou (兰州) nel Gansu (甘肃), cammino a braccetto con Gong Xue, 21 anni, studia giornalismo. Insieme entriamo in un McDonald’s e ci sediamo al tavolino più lontano dal bancone, appoggiate alla vetrata del locale. Dentro siamo in pochi, fuori la piazza è attraversata da centinaia di persone. L’aria è di un posto sospeso tra due mondi, non si può dire di frontiera, ma nemmeno metropolitano. Sono le sette di sera e, mentre cambia la luce, gli ambulanti vendono albicocche secche, qualcuno sta facendo sport e noi abbiamo già cenato. Ordiniamo un gelato.
Il biglietto del treno che prenderò domani mattina me l’ha comprato Gong. Le chiedo qualche informazione generica sulla classe di viaggio, poi per l’ennesima volta torniamo a parlare di quando ci siamo incontrate. Tre giorni prima, nel bagno della stazione, appena arrivate nella città di Xiahe (夏河). Entrambe eravamo lì per visitare il monastero di Labrang (拉卜楞寺), uno dei maggiori monasteri fuori dai confini del Tibet. Io c’ero quasi per caso, lei per un reportage, un progetto per l’università.
Qualche ora dopo ci siamo ritrovate nell’atrio dello stesso ostello e abbiamo deciso di dividere una stanza, una stanza con la stufa e pesanti coperte di lana colorata. Quando siamo andate a cena, ho scoperto due cose, che nessuno nella famiglia di Gong, eccetto il fratello, sapeva dove si trovasse e che la cucina locale era a base di Yak, soprattutto di burro e latte di Yak. Comunque, da quel momento non ci molliamo più, facciamo tutto insieme e facciamo tantissime cose.
Se fosse in qualsiasi altro posto nel mondo, Xiahe sarebbe una cittadina turistica, ma non lo è e gli unici stranieri che si incontrano sono pellegrini a piedi, reduci da viaggi estenuanti che immaginiamo durare mesi. Noi, che siamo molto più leggere in assenza della loro devozione, dopo una sommaria visita del monastero buddhista, esploriamo i dintorni, praterie e montagne dove vivono ancora nuclei familiari nomadi o semi nomadi. Di tanto in tanto, mi sorprendo, ma vedo spuntare anche qualche minareto. Non siamo lontane dallo Xinjiang, la regione autonoma Uigura (新疆维吾尔自治区), etnia turcofona di religione musulmana, che da sempre avrei tantissima voglia di visitare.
A ripercorrerli insieme mi rendo conto che sono stati tre giorni un po’ irreali e che forse senza la compagnia di Gong sarebbero stati noiosi o meno intensi. Glielo dico e tutt’a un tratto mi sento stanchissima. Gong lo stesso. Ci chiediamo se vogliamo un tè, ma la verità è che entrambe abbiamo sonno. Restiamo lì appoggiate al nostro tavolino giallo scolorito e penso che è lo stesso che si trova in qualsiasi altro negozio della catena. Un inserviente inizia a lavare il pavimento, Gong me lo indica e propone di aspettare che per terra si asciughi prima di andarcene.
Dopo pochi minuti usciamo e ci infiliamo in un taxi. Piove. Noi restiamo in silenzio o quasi in silenzio. Alla fine ci salutiamo senza farci caso, come due persone abituate a vedersi.
In seguito sono stata in molti altri posti e ogni viaggio in Cina lascia qualcosa di speciale, ma questo gelato al McDonald’s di Lanzhou è tra i ricordi più cari. Un momento in cui mi sono sentita a mio agio, in equilibrio in un paese che è tanti paesi insieme e tutti quanti in trasformazione.

Di cosa ti occupi?

Curo la direzione artistica del Dong Film Fest, festival italiano dedicato al cinema emergente e indipendente cinese: dongfilmfest.com.

 

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